La Biografia Completa di Benjamin Constant de Rebecque


Benjamin Constant è stato un intellettuale, politico e scrittore francese di origini svizzere, noto soprattutto per essere uno dei teorici del Liberalismo e per aver scritto La Libertà Degli Antichi Paragonata a Quella dei Moderni.
Considerato come uno degli autori francesi più importanti del XVIII secolo, Constant ha avuto un ruolo attivo durante la Rivoluzione Francese e l’era napoleonica, contribuendo alla stesura della Carta Costituzionale del 1814.
In questa pagina approfondiremo tutto quello che devi conoscere sulla vita di Benjamin Constant, sul suo pensiero e sulla sua opera più rappresentativa.
Sommario
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Biografia
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Prime opere
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Debiti e matrimonio fallito
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Madame de Staël
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Agitatore rivoluzionario
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Il sostegno al Direttorio
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Contro il Terrore Giacobino
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La polemica con Rousseau
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Il confronto fra antichi e moderni
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I limiti al potere
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L’opposizione a Napoleone
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L’esilio
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Sesso e religiosità
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Il secondo matrimonio
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Intellettuale affermato
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Bonaparte e la parentesi filo-napoleonica
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Adolphe
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Le due libertà
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Il pragmatismo borghese
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La concezione dello Stato
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Il ritorno all’assolutismo
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La storia come liberazione
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Il rapporto tra libertà e uguaglianza
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Considerazioni sul modello anglosassone
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Precursore del liberalismo
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Opere
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Il libro più rappresentativo di Benjamin Constant
Buona lettura!
di Guglielmo Ferrero
Una delle più lucide analisi sui processi di acquisizione e difesa del Potere, della sua legittimazione e della costruzione del consenso.
Chi è Benjamin Constant: la sua biografia
Infanzia e giovinezza
Henri-Benjamin Constant de Rebecque nacque a Losanna – in Svizzera – il 25 ottobre 1767 da una famiglia di ugonotti, termine con il quale si indicavano i protestanti di confessione calvinista nella Francia del 1500 e 1600.
Durante il XVII secolo, i suoi familiari furono costretti fuggire dal Regno di Francia per trarsi in salvo dalle persecuzioni religiose seguite all’Editto di Fontainebleau del 18 ottobre 1685, atto con il quale il re cattolico Luigi XIV revocava il precedente Editto di Nantes del 1598 e le conseguenti libertà di culto che venivano assicurate ai protestanti.
Questo annullamento ebbe come conseguenza una numerosa serie di espatri da parte dei francesi che decisero di non rinunciare alla propria fede, tra cui gli antenati dell’intellettuale francese.
Nato in una famiglia aristocratica, Constant ricevette un’educazione in linea con la sua classe sociale e studiò in più di un’università: a Erlangen in Germania, a Edimburgo in Scozia e a Oxford in Inghilterra.
Il periodo universitario fu particolarmente intenso per il giovane che, giunto ancora adolescente nella cittadina tedesca di Erlangen, si dimostrò fin da subito uno studente brillante.
Tuttavia, all’amore per lo studio unì un altrettanta forte propensione ai divertimenti, in particolare per il gioco d’azzardo (con i relativi e rovinosi indebitamenti).
Benché Constant fosse il più piccolo degli studenti universitari, eccelse in materie come letteratura, filosofia e storia.
Inoltre, la sua intelligenza e il suo estro erano notevoli a tal punto che la moglie del margravio (amministratore) del Brandeburgo-Bayreuth, Sofia di Brunswick-Wolfenbüttel, lo faceva invitare a cena ogni sera nella propria residenza.
Si tratta di un’amicizia che traballò nel momento in cui la margravia venne a conoscenza di una relazione intrattenuta dall’irrequieto Constant, per puro piacere, con la figlia di una donna malvista a corte.
Una volta richiestogli di mettere fine al rapporto Constant non desistette, il che gli costò la benevolenza dell’altolocata protettrice e l’accesso a palazzo da quel momento in poi.
Il padre Louis-Arnold si vide così costretto a richiamarlo a Bruxelles, dove si trovava in quel momento, nel giugno del 1873.
L’età adulta
Un mese dopo, Benjamin venne spedito a Edimburgo, allora sede di un ateneo dove ferveva un’attività intellettuale di ispirazione illuminista.
Più avanti con l’età, Constant ricorderà l’anno a Edimburgo come il più bello della sua vita non solo per la carriera universitaria, che procedeva sfolgorantemente sotto l’ala del filosofo Adam Ferguson e dello storico William Robertson, ma anche per via delle relazioni sociali.
Infatti, a Edimburgo Constant entrò nella Speculative Society, un circolo in cui una volta alla settimana si discuteva in pubblico dei più variegati temi di tipo umanistico e dove poté esprimere ed affinare la propria abilità nell’argomentare davanti a un uditorio.
Il demone del gioco tornò purtroppo a far capolino di lì a poco, facendo impantanare di nuovo Constant nei debiti.
Assediato dai creditori, De Rebecque fuggì dalla Scozia nel 1785 per riparare in Francia dove il padre, disperato, lo mandò ospite presso Jean-Baptiste e Amélie Suard.
I due, marito e moglie, ospitavano uno di quelli che ai tempi erano chiamati – perché materialmente tali – “salotti” parigini.
Nella loro casa, si ritrovavano a conversare alcuni fra i più bei nomi dell’intellighenzia di quegli anni, fra cui Condorcet e La Harpe.
Fatalità vuole però che al suo arrivo, nel maggio del 1785, la camera in preparazione per lui alla maison Suard non fosse ancora pronta.
Fu allora che Constant, facile preda di tentazioni, si lasciò circuire da un inglese che lo accompagnò in bische e case di tolleranza nel quartiere di Palais-Royal, dove riprese la solita vita di vizio e debiti.
Venne richiamato ancora una volta dal padre a Bruxelles nel tentativo di mettere la testa a posto; tornerà a Losanna nel novembre dello stesso anno.
Le Prime Opere

Constant scrisse la sua prima opera nel 1786: si tratta di un saggio storico intitolato De la discipline militaire des Romains.
Nel novembre dello stesso anno fece ritorno dai Suard, i quali poterono dare al giovane e inquieto studente la possibilità di inserirsi negli ambienti intellettuali della capitale.
Questa volta venne affiancato nelle sue tendenze alla deboscia da suo cugino Charles, il quale era soprannominato il Cinese per via dei suoi frequenti viaggi in Estremo Oriente con la Compagnia Ostenda, una compagnia commerciale privata.
In gioventù Constant era solito abbinare alla vivace vita notturna un profondo l’impegno nello studio: fu così che nel 1787 tradusse History of Ancient Greece, opera appena pubblicata a Londra dallo storico scozzese John Gillies.
L’instancabile attività di viveur sensibilissimo al fascino femminile (che lo portò a sedurre Jenny Pourrat, una ricca ereditiera già impegnata) rimise in allarme il padre, che lo richiamò all’ordine per l’ennesima volta.
In occasione del suo arrivo a Bruxelles, sfuggì al militare andato a prelevarlo con un escamotage e corse a Calais, sulla Manica, dove si imbarcò per l’Inghilterra.
Era il 26 giugno 1787 e, benché non avesse portato con sé abbastanza soldi, De Rebecque scriverà di quell’occasione come un momento in cui si sentì felice e nuovamente libero.
Debiti e Matrimonio fallito
Una volta arrivato a Londra, Constant cominciò a viaggiare per il regno inglese e fece visita a degli amici di Edimburgo.
Dopo essere tornato nella capitale inglese, venne a sapere che il padre aveva intimato a chiunque avesse dei rapporti con la famiglia di non prestare un solo penny al giovane De Rebecque.
Costretto a tornare a capo chino dal genitore, passò i mesi successivi a Losanna, dove sfidò a duello un ufficiale del Vaud e fece visita a Isabelle de Carrière, una scrittrice con cui aveva intrecciato una relazione platonica.
Questo momento idilliaco della vita di Constant venne interrotto dal padre che, nel 1788, lo spedì a Brunswick con l’incarico di gentiluomo di camera (Kammerjunker).
In pratica, aveva il compito di distribuire gli ospiti della corte del duca Carlo Guglielmo Ferdinando in base al loro rango.
Resterà nella città tedesca fino al 1794, ricordando la sua mansione come un compito noioso e deprimente.
Per di più, come un fulmine a ciel sereno, dall’Olanda giunse la notizia che il padre (un colonnello che prestava servizio in un reggimento svizzero stanziato nei Paesi Bassi) era stato accusato di aver esortato le truppe sotto il suo comando ad ammutinarsi.
La notizia spinse Constant a partire per sostenere il genitore momentaneamente sospeso e condannato a un’elevata multa di risarcimento danni.
Nel 1791 venne emessa una seconda condanna che, per essere pagata, portò i Constant a vendere le proprietà terriere di famiglia.
Qui Benjamin, ancora nel pieno della vitalità giovanile, non si perse d’animo e si sposò con una dama di corte, Wilhelmina “Minna” von Cramm, che oltre ad avere nove anni più di lui non portava in dote né una particolare avvenenza né un bagaglio culturale degno di nota ma godeva di particolare stima dalla corte.
In vista di una promozione sociale (nonché di un aumento di stipendio), Constant convolò a nozze l’8 maggio 1789, a Brunswick.
In seguito al matrimonio, Benjamin si diede molto da fare e iniziò a viaggiare con frequenza per soccorrere il padre, il quale si trovava in pessime condizioni finanziarie.
Tuttavia, al suo ritorno, trovò la moglie Minna talmente indispettita per la sua prolungata assenza da rendere pubblica la relazione che nel frattempo aveva intessuto con un principe russo, Goličin.
La separazione e il divorzio non tardarono ad arrivare.
L'incontro con Madame de Staël

Ritratto di Madame de Staël
Maturato anche per l’amarezza di queste vicende, Constant tornò a Losanna, dove fece la conoscenza di una famosa baronessa figlia del banchiere ginevrino ed ex ministro delle finanze di Luigi XVI Jacques Necker: Anne-Louise de Staël.
Anne-Louise era una intellettuale di grido comunemente conosciuta come Madame de Staël che, dopo il matrimonio con il barone e ambasciatore svedese De Staël-Holstein, aveva dato vita a un proprio circolo culturale.
Entrambi restarono affascinati l’uno dall’altra e Constant iniziò a corteggiarla spudoratamente, fino ad affittare un alloggio accanto al castello dove la nobildonna viveva.
Pur non essendo ricambiato, lo scrittore francese non si diede per vinto e arrivò a scriverle cinque lettere al giorno, ostentando gelosia e minacciando il suicidio.
Alla fine, fra il 1795 e il 1796, la baronessa cedette e iniziò così un lungo sodalizio erotico e sentimentale che ebbe come riflesso il comune impegno politico a favore delle idee liberali che presero piede nella Francia rivoluzionaria.
La De Staël fu autrice di vari scritti, fra cui De l’Allemagne (“La Germania”, 1810), un libro che le costò l’odio definitivo e imperituro di Napoleone, il quale ne fece bruciare le copie.
Si tratta di un’opera letterariamente importante, in quanto fissa una distinzione rimasta a lungo canonica nella storia dell’arte.
Secondo l’autrice, la classicità era una discendente della grecità e della romanità, mentre il Romanticismo era una filiazione della civiltà cristiano-cavalleresca dell’Europa del Nord.
Questa idea venne influenzata dal precettore dei suoi figli, Wilhelm August von Schlegel (1767-1845), altro intellettuale che ha lasciato importanti riflessioni sul confronto fra spirito degli antichi e spirito dei moderni.
Come testimonia un articolo uscito nel gennaio del 1816 sulla rivista La Biblioteca Italiana, la scrittrice parteggiava con l’ondata romantica che si stava diffondendo il quel periodo.
Tra le righe, De Staël critica il classicismo per la sua scarsa creatività tematica e invita il lettore a guardare alle più innovative produzioni letterarie inglesi e tedesche:
“Dovrebbero a mio avviso gl’Italiani tradurre diligentemente assai
delle recenti poesie inglesi e tedesche; onde mostrare qualche novità a’loro cittadini”.
Sul piano politico, la baronessa espresse diffusamente le sue convinzioni in un libro del 1818 che ebbe vasto eco, le Considerations sur les principaux événements de la Révolution française (“Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese”).
Come il futuro Benjamin Constant, anche lei sostenne il modello della monarchia costituzionale inglese, benché in precedenza avesse dato il suo appoggio anche al repubblicanesimo.
In sostanza, l’opera è una sorta di autocritica per aver dato credito alla stretta termidoriana, colpevole di aver interrotto il processo (a suo dire irreversibile) di liberazione della società dall’oscurantismo.
L'agitatore rivoluzionario
Giunto a Parigi il 25 maggio 1795, Benjamin Constant assistette alle sedute della Convenzione, nome che in quella fase si dava parlamento.
Riprese a scrivere a fine giugno e pubblicò in forma anonima sul giornale di Suard Nouvelles politiques, nationales et étrangères (“Notizie politiche, nazionali ed estere“) le Lettres à un député de la Convention (“Lettere a un deputato della Convenzione“).
Si trattava di un testo politicamente ingenuo in cui si denunciava una norma della legge elettorale secondo la quale i due terzi dei futuri eletti dovevano provenire dalle file di quelli uscenti.
Constant vi si oppose per motivi di principio non riuscendo a coglierne l’opportunità politica: con quel provvedimento, infatti, si intendeva contrastare la reazione neo-monarchica.
Fu così che si inimicò la stampa governativa, a cui rispose pubblicando (questa volta firmandola) una lettera aperta indirizzata À Charles His, rédacteur du Républicain français, dove cerca di mettere una pezza invocando il fronte unico repubblicano.
Assiduo frequentatore del salotto di Madame de Staël, anche lei frattanto tornata in Francia, la seguì quando il nuovo esecutivo uscito dalla congiura anti-robespierrista del Termidoro, il Direttorio, la espelse non vedendo di buon occhio il giro della baronessa di cui si sospettavano simpatie filo-monarchiche.
I due si recarono a Coppet, in Svizzera, dove aveva una residenza Jacques Necker.
Per Constant fu un brutto colpo, dato che si vide costretto a interrompere l’avvio della propria carriera da giornalista e politico proprio quando entrò in vigore la nuova Costituzione.
Il Sostegno al Direttorio
A Coppet Constant conobbe meglio Necker, dalle cui teorie si fece ispirare per scrivere un libello dal titolo De la force du gouvernement actuel de la France et de la nécessité de s’y rallier (“La forza del governo attuale sulla necessità di uscire dalla rivoluzione”), pubblicato da un editore liberale di Losanna, Jean Mourer.
Il pamphlet circolò a Parigi, dove l’intellettuale fece ritorno il 30 aprile e scoprì che il suo libro aveva riscontrato un’ottima accoglienza sui giornali governativi e suscitato l’ostilità dei monarchici.
Nel testo, Constant appoggiava la politica termidoriana del Direttorio per il suo orientamento centrista, il quale aspirava a tenere a bada gli estremismi di destra (i realisti) e di sinistra (i giacobini), da lui provocatoriamente messi sullo stesso piano.
Entrambi, infatti, lavoravano da sponde opposte per minacciare la legalità parlamentare.
La destra monarchica mirava a restaurare l’assolutismo dell’Ancièn régime, mentre la sinistra giacobina puntava a riprendere il filo, violentemente spezzato dal Termidoro, della democrazia diretta fondata sulle sezioni (i cosiddetti consigli locali).
Ai suoi occhi, la svolta direttoriale garantiva il mantenimento delle conquiste fondamentali del 1789, ossia i diritti costituzionali e il sistema rappresentativo.
Il nuovo corso andava supportato, a suo parere, perché era l’unico in grado di mettere in sicurezza i due beni fondamentali: la pace e la libertà.
Contro il Terrore Giacobino
La parallela e burrascosa vita privata di Benjamin Constant non conobbe soste tra relazioni platoniche e duelli.
Nel 1796 l’intellettuale incontrò la ballerina Julie Talma – moglie infelice del celebre attore François Joseph – e, nel luglio dello stesso anno, sfidò a duello il giornalista Louis François Bertin.
Costui aveva leso il suo onore chiamandolo giacobino e terrorista (cioè seguace del Terrore e fautore della ghigliottina), offendendo per soprammercato pure la sua nazionalità svizzera.
Tuttavia, i due si riconciliarono prima dello scontro e diventarono buoni amici.
La vita di Constant prosegui: ripartì per la Svizzera in agosto e per Parigi ad ottobre, dove lascerà l’innamoratissima Madame de Staël incinta di una bambina, Albertine.
Il mese successivo comprò – anche grazie all’aiuto economico di Necker – una villa a Luzarches, nel nord di Parigi, e vi si trasferì con la Staël che nel frattempo aveva ottenuto il permesso di rimpatriare a condizione di non entrare nel territorio della capitale.
Nel 1797 Constant vergò altri due scritti politici: Des réactions politiques (“Le reazioni politiche”) e Des effets de la Terreur (“Gli effetti del Terrore”).
Il primo pamphlet è palesemente scritto a suo favore, visto che tratta del diritto di cittadinanza francese a cui Constant aspirava in quanto svizzero.
Tra le sue pagine l’autore argomenta sulla necessità di attuare un decreto del 1790 che riconosce la cittadinanza ai discendenti di cittadini francesi costretti a emigrare, proprio come i suoi avi che erano espatriati forzatamente in quanto ugonotti.
Nel secondo scritto, dedicato al giacobinismo, Constant tenta una genealogia del fenomeno rivoluzionario.
Le rivoluzioni, scrive l’autore, scoppiano quando non c’è più sintonia fra le “idee”, cioè le aspirazioni di un popolo, e l’ordinamento istituzionale al potere.
Ne deriva dunque che la Rivoluzione sia stata il derivato estremo di uno squilibrio che, come nel corpo umano, esigeva una guarigione.
Quando un’esperienza rivoluzionaria ricompone l’equilibrio rispettando il pensiero più diffuso, la cosiddetta Reazione non si verifica.
Se invece eccede, ecco prendere forma il moto reattivo.
La Rivoluzione Francese ha commesso esattamente questo errore: non si è limitata ad abolire i privilegi feudali e introdurre le libertà costituzionali, ma con i Giacobini si è inoltrata nel pericoloso terreno delle rivendicazioni utopiche, pretendendo di imporle con la violenza tramite il terrore di Stato.
Tuttavia, al contrario di quanto pensavano sia i controrivoluzionari che i gli ultra-rivoluzionari, il Terrore non è un effetto fisiologico, nefasto o positivo dei princìpi dell’Ottantanove, ma un’escrescenza patologica da curare come una malattia che mette in crisi la salute dell’organismo.
Inoltre, mentre la Rivoluzione dell’Ottantanove scaturiva dall’impellente e ormai non più contenibile bisogno di indipendenza individuale, uguaglianza di diritti civili e libertà politica, la Rivoluzione giacobina del ’93 promanava dai sogni di un’uguaglianza forzata e liberticida di ascendenza roussoviana che non può che scadere in dispotismo.
Si tratta di una forma di tirannide che con quella dell’antico regime condivideva un tratto fondamentale: l’arbitrio del potere non limitato da leggi a garanzia delle libertà personali e fondato su una sovranità dello Stato concepita come illimitata (se esercitata da una testa coronata o da un comitato di salute pubblica, poco cambiava).
Di qui una delle argomentazioni favorite da Constant, vale a dire che il miglior alleato dei reazionari è il massimalismo dei rivoluzionari.
È grazie a lui che il motto dei liberali del continente da quel momento in poi sarà: “Viva il 1789 e abbasso il 1793”.
La Polemica con Rousseau

Ritratto di Jean Jacques Rousseau
Il duello sottotraccia con l’onnipresente fantasma di Jean Jacques Rousseau (1712-1778) potrebbe considerarsi una sorta di filo conduttore nascosto dell’intera riflessione teorica di Benjamin Constant.
Si tratta a tutti gli effetti di un confronto sia inaggirabile – dato che Rousseau è ritenuto a buon diritto il maggior ispiratore del clima ideologico della Francia Rivoluzionaria – che dialettico per Constant, il quale prende le mosse dal filosofo del “contratto sociale” dando da un lato a Rousseau quel che è di Rousseau e dall’altro contestandone radicalmente le conclusioni.
Il principio da cui idealmente partiva il filosofo francese, ovvero la sovranità legittimata dal consenso popolare (“volontà generale”), è condiviso da Constant sebbene in quegli anni richiamasse il sangue copiosamente versato durante il periodo del Terrore giacobino.
Se non si vuole riesumare il potere fondato sul diritto divino, per Constant il presupposto obbligato è allora convenire che l’unica alternativa alla forza è il consenso.
Su questo, la coincidenza fra i due pensatori è assoluta.
Diverso è il discorso sulle implicazioni del principio di sovranità popolare.
Secondo Rousseau, in nome della volontà collettiva i diritti dell’individuo possono essere ceduti e anzi, se necessario, devono essere ceduti (tutti, incluso il diritto primario alla vita).
Constant è in totale disaccordo: per lui ciò significa giustificare il dispotismo, l’illimitatezza del potere.
La critica constantiana è fine.
Se Rousseau aveva cercato di parare preventivamente le obiezioni sostenendo che l’uguaglianza degli individui avrebbe disinnescato il pericolo di abusi e che i cittadini si sarebbero ripresi ciò che perdevano da privati (entrambi argomenti di astrattezza facilmente smontabile), Constant replicava che il potere teoricamente di “tutti” sarà nei fatti esercitato necessariamente da pochi.
In virtù dell’inevitabile distribuzione pratica dei poteri, ci saranno insomma uguali cittadini più uguali degli altri.
A tutti gli effetti questa era una prefigurazione di Orwell e degli elitisti (Pareto, Mosca, Michels) che nel Novecento chiariranno in via definitiva come ogni società sia governata di fatto da una minoranza.
Perché la contro-argomentazione di Constant è fine?
Perché Constant non mette in discussione la necessità di cedere i diritti individuali alla comunità, ma l’utopismo di far coincidere governati e governanti.
Anche Rousseau era conscio di come la democrazia integrale – in quanto diretta – è possibile solo in contesti geograficamente limitati (il suo modello mentale erano i Cantoni svizzeri), ma è Constant a tirarne fino in fondo le reali conseguenze.
Il Confronto fra Antichi e Moderni
È in questa cornice che fa capolino la distinzione fra società antiche e moderne che rappresenta il leit motiv constantiano.
Mentre le prime erano non solo di ristrette dimensioni ma anche funzionanti grazie all’economia schiavistica e alla logica di guerra permanente, le seconde sono territorialmente estese e tendenti più a esprimersi nello scambio commerciale (il che però, a dispetto dell’altrettanta utopica carica idealistica di Constant, non mette al riparo dall’aggressività bellica, anzi).
Fra i moderni, inoltre, la schiavitù non c’è e tutti lavorano; è proprio la condizione del lavoro a pagamento che li porta a mettere al centro il valore dell’autonomia individuale.
Tutte queste caratteristiche moderne rendono irrealizzabile il progetto di una democrazia diretta sul modello della polis antica intesa come comunità organica.
Nella pratica, le società moderne devono prevedere garanzie che proteggano il cittadino dalle tendenziali prevaricazioni dello Stato.
Se vengono a mancare, il rischio è cadere in un autoritarismo democratico, che si vela grazie alla legittimazione popolare ma che nella realtà è più esiziale dell’autoritarismo classico autocratico.
Infatti Constant prosegue la sua critica del pensiero roussoviano affermando che il regime dispotico su base democratica è il peggiore in assoluto, perché il più ipocrita.
Mentre nessun tiranno tradizionale arriverebbe a schiacciare la maggioranza in nome di una minoranza (quella dei suoi adepti), il tiranno democratico riesce a conculcare la maggioranza in nome della stessa maggioranza.
Il contrasto di fondo verte sul concetto di libertà.
Se per Rousseau – come per i Greci e i Romani – la libertà è collettiva, per Constant e i per moderni è individuale e dunque va preservata a prescindere dalla dialettica delle maggioranze e delle minoranze.
Una comunità sovrana che asservisce l’individuo è sovrana come collettività, ma genera schiavitù per il suo singolo membro.
È questa libertà falsa e anacronistica che i giacobini avevano tentato di imporre alla Francia e contro la quale la Francia dell’ascendente borghesia si è ribellata.
I Limiti al Potere
Attenzione, Constant non sta dicendo che la libertà politica perde la sua centralità.
“La libertà politica è indispensabile”, scrive.
In altre parole, è conscio del fatto che il ripiegamento sul privato possa tradursi in una facilitazione dei tentativi del potere di sopraffare l’individuo.
A tale lucida coscienza, tuttavia, Constant non fa seguire rimedi e soluzioni adeguate, fermandosi appunto a un generico appello a non scambiare la difesa delle libertà individuali per delega in bianco dell’individuo all’oligarchia di volta in volta al governo.
Riassumendo, l’errore di base che Constant attribuisce a Rousseau è di aver mal impostato la dirimente questione della legittimità del potere, che non si riduce a definire chi ne è titolare ma include quanto e come deve estendersi e applicarsi.
In una formula, Constant rimprovera a Rousseau di non aver posto nei dovuti termini il problema della limitazione del potere.
Senza limiti alla fonte, corrispondenti alla sfera d’azione dei diritti individuali, mettersi a disegnare con la fantasia lo Stato perfetto non è soltanto inutile, ma anche ingannevole e controproducente.
A fare la differenza decisiva, per Constant, è la previsione di limitazioni materiali ed effettive al potere pubblico tramite limiti formali di legge che non devono mai venir meno.
Detto altrimenti, ciò che noi oggi chiamiamo “Stato di diritto“.
L'Opposizione a Napoleone

Ritratto di Napoleone Bonaparte
Constant non aveva previsto, tuttavia, che sarebbe potuta verificarsi una ben diversa eventualità: un colpo di Stato ordito all’interno del Direttorio stesso, ovvero da Emmanuel Joseph Sieyès in combutta con l’ex estremista di sinistra – e a quel tempo temuto ministro di polizia – Joseph Fouché, insieme a un generale di origine corsa in prepotente ascesa, Napoleone Bonaparte.
Era il 18 brumaio 1899 (9 novembre).
Constant scrisse di getto una lettera a Sieyès, protestando per lo scioglimento dell’organo legislativo e intuendo che senza quel contrappeso la fine delle libertà politiche si sarebbe fatta vicina.
Il golpe inaugura un triumvirato destinato di lì a poco a mutarsi nella dittatura personale di quest’ultimo, nominato Primo Console.
Constant si oppose fin da subito al regime bonapartista e, una volta diventato membro del neo-costituito Tribunato il 24 dicembre 1799, pochi giorno dopo attaccò duramente in aula il progetto di legge che in pratica avrebbe esautorato lo stesso Tribunato, accelerando la svolta autoritaria.
Togliendo ogni reale potere all’organo pensato come esecutivo allargato, per Constant si sarebbe ridotto al silenzio il diritto-dovere di partecipare al governo, il quale sarebbe finito interamente nelle mani del solo Bonaparte.
La polemica provocò una reazione violentissima da parte dei sostenitori del nuovo regime, i quali fecero terra bruciata intorno ai liberali come Benjamin Constant.
Il salotto della Staël si svuotò e lei stessa venne invitata a fare le valige.
Constant non mollò e continuò a contestare Napoleone dal proprio scranno al Tribunato, accusandolo di voler reprimere le libertà personali, di stampa e dei magistrati.
Quest’ultimi venivano messi fuori gioco con i nuovi cosiddetti “tribunali d’eccezione”, i quali avevano il compito di perseguire gli oppositori (tra cui figurava anche Constant assieme a un piccolo gruppo di dissidenti liberali).
L'esilio
Nel 1802, i contestatori in seno al Tribunato vennero espulsi e Constant scelse di andare in esilio lo stesso anno, sempre in compagnia di Madame de Staël.
I due si rifugiarono in Svizzera, ma le precarie condizioni economiche portarono l’intellettuale a vendere la residenza parigina per acquistarne più modesta, Les Herbages, sempre a poca distanza dalla capitale.
Benché afflitto da un grave disturbo agli occhi, nel 1802 Benjamin Constant scrisse un trattato, Principes de politique, che terrà nel cassetto per paura delle possibili reazioni del regime.
La relazione con la de Staël subirà un declino: la donna ha come amante un irlandese e va su tutte le furie quando viene a sapere che Constant ha in mente di lasciarla per sposare un’altra.
Per trovare un po’ di quiete, Constant tornò in Francia per abitare nella nuova casa di Les Herbages, dove attese alla scrittura di un libro su Federico il Grande che non vide mai la luce.
Nonostante il clima teso, rapporti con la De Staël non si interruppero mai: dopo l’ennesimo ordine di espulsione da Parigi – dove era tornata – Constant si aggregò a lei con destinazione la Germania.
A fine 1803 raggiunsero prima Francoforte e poi Weimar, dove Constant circolò in incognito presentandosi come il tutore dei figli della gran dama.
A Weimar i due vennero accolti favorevolmente dal duca Carlo Augusto che, grazie alla sua politica culturalmente tollerante, riunì nella sua città i più bei nomi dell’intellighenzia tedesca dell’epoca: Goethe, Schiller e Wieland.
Constant rimase estasiato dall’incontro con Goethe, il quale ebbe una buona impressione del francese; infatti, svariati anni più tardi scriverà:
“Abbiamo passato con Benjamin Constant ore piacevoli e istruttive.
Se consideriamo ciò che questo uomo superiore ha fatto in seguito, e con quale ardore ha proseguito senza esitazione sulla via che aveva scelto e che riteneva essere quella della giustizia, possiamo immaginare quali nobili tendenze, ancora in nuce, si agitassero nella mente di un simile uomo”
Sesso e Religiosità
Durante il suo periodo di permanenza in territorio tedesco, Benjamin Constant conobbe anche Schiller, il quale gli fece leggere in anteprima dei brani del “Guglielmo Tell”.
Per l’intellettuale francese, il raffinato ambiente intellettuale tedesco è un vero toccasana.
Nell’aprile del 1804 Constant fece nuovamente tappa a Losanna, dove apprese della morte di Jacques Necker.
In seguito all’accaduto, si rimise immediatamente sulla strada per Weimar, dove trovò la sua donna prostrata dalla notizia.
I due viaggiarono nuovamente insieme alla volta di Coppet, per recarsi al castello dei Necker.
Qui la coppia si mal sopporta: per Constant, in particolare, stare vicino alla De Staël significa penalizzare gli studi e la scrittura, a cui intende votarsi in mancanza di una tribuna politica vera e propria.
Per questa ragione, quando la baronessa intraprende il suo viaggio in Italia, le strade dei due amanti si separano: Constant iniziò a fare avanti e indietro da Parigi, dove frequentò il mondo della prostituzione.
Il bisogno sessuale in Constant era sempre così forte che – se non soddisfatto regolarmente – impediva all’intellettuale la dedica totale della propria attenzione alla sua opera, per la quale necessitava di adeguata tranquillità d’animo.
In quella fase la religione divenne l’oggetto delle sue indagini, in particolare quella antica: gli appunti di quel periodo andranno a formare la base del futuro Du polythéisme romain (“Il politeismo romano”).
Anche la spiritualità e il pensiero della morte fecero capolino, specialmente dopo la scomparsa dell’amico scrittore Ludwig Huber e delle sue ex fiamme Julie Talma e Isabelle de Charrière.
Tutto ciò portò Benjamin Constant a domandarsi nei suoi diari se qualcosa di un essere umano sopravviva dopo la fine terrena.
Si può dire che fosse tormentato:
“Il mondo si sta spopolando, perché continuare a vivere?”
A Coppet la De Staël cercò di ricreare – in parte in chiave bonapartista – il suo tradizionale salotto di intellettuali, a cui Constant partecipò da attore improvvisato a una recita su pièce voltairiana, “Maometto e Zaira”.
In quell’anno, il 1806, il suo interesse venne concentrato sul completamento dell’opera abbozzata anni prima – Principes de politique – e che costituirà il suo opus magnum diventando il testo di riferimento di tutta la sua attività di pensatore e di politico.
L’impostazione è prevedibile: contro il bonapartismo imperante, Constant dispiega tutte le sue armi argomentative a favore di un liberalismo debitore dell’esempio inglese, seppur corretto con una certa sensibilità nel cercare di conciliare libertà individuali e diritti collettivi.
Il Secondo Matrimonio

Ritratto di Charlotte von Hardenberg
Constant si risposò nel 1808 con Charlotte von Hardenberg (1769-1845), una donna conosciuta a Brunswick nel 1793 quando era ancora moglie del ciambellano di corte Wilhelm von Marenholtz.
Charlotte in quel momento era sposa in seconde nozze del visconte Alexandre du Tertre ma si trattava di un’unione infelice.
La Hardebeng si rivelò essere un tipo completamente diverso dalla de Staël: quanto questa era egocentrica, debordante e impetuosa, tanto la neo-sposa era dolce, materna e schiva.
La nuova sposa riuscì ad acquitare l’animo del polemista e scrittore, il quale intanto cominciò a lavorare a un romanzo il cui nucleo si sviluppava intorno alla rottura del protagonista con una donna, Ellénore, che pare ricordare la moglie.
L’abbozzo è andato perduto, pertanto non si sa se costituisca il primo vagito dei romanzi che Constant pubblicò nel 1811 e 1816, Celie e l’Adolphe.
Intellettuale affermato
Contemporaneamente, Constant non disattese a quella che per lui era diventata una necessità quasi fisica: attaccare Napoleone.
Dopo che la battaglia di Lipsia del 1813 ebbe segnato l’inizio della fine per l’imperatore, De Rebecque scrisse il pamphlet “Lo spirito di conquista e dell’usurpazione“.
Tra le pagine di questo testo, l’autore riassunse con un taglio libellistico e uno stile sapido e diretto la sua visione liberale e anti-autoritaria.
Lo scritto gli diede larga fama, consacrandolo definitivamente come intellettuale di punta del panorama francese.
Chiaramente, è significativo che l’autore abbia atteso l’inizio della parabola discendente dell’odiato Bonaparte per uscire con un attacco frontale che sa di riscossa.
Se letto a posteriori e confrontato con il giudizio storiografico pressoché unanimemente favorevole alla figura del condottiero e civilizzatore (ricordiamo il Codice Napoleone), i toni di netta condanna di Constant suonano stridenti, seppur veritieri a conti fatti.
Bonaparte il civilizzatore
Il Codice Civile dei Francesi, passato alla storia come Code Napoléon, è ancora in vigore in Francia e ha fatto da modello a tutti i codici che vennero dopo nel mondo.
Per la prima volta un solo corpus di leggi sanciva l’uguaglianza di ogni cittadino, abolendo i codici differenziati che esistevano per gli aristocratici, il clero e il popolo.
Scritto in un linguaggio chiaro e comprensibile, venne emanato il 21 marzo 1804 e fu apprezzato anche da scrittori del calibro di Stendhal.
Sostanzialmente, il Codice abrogava le norme che erano eredità del diritto romano e tutto il groviglio di leggi consuetudinarie di uso comune e locale (ad esempio, abitudini diverse di compravendita fra Nord e Sud della Francia), stabilizzando le maggiori conquiste della Rivoluzione a partire dall’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
In più, si concentrava sulla tutela del diritto di proprietà, caro alla classe emergente della borghesia.
La proprietà privata, definita nell’articolo 89 come “sacra e inviolabile”, diventava il perno della teoria giuridica dell’Impero napoleonico: sulla scia del giusnaturalismo, era concepita come un diritto naturale e in quanto tale inalienabile.
Veniva considerata come il “diritto di godere e disporre delle cose nel modo più assoluto” (articolo 544), tranciando di netto con la tradizione del dominio diviso di età feudale.
L’unico vincolo era il limite della legge, violando la quale l’autorità avrebbe potuto procedere all’espropriazione.
Soprattutto, la proprietà diveniva titolo di agibilità politica, perché vi si collegava il diritto di voto concesso solo a chi potesse dimostrare di possedere una certa soglia di patrimonio.
Bonaparte il tiranno
Il già citato Hegel, per menzionare l’esempio più illustre, giudicava Napoleone niente meno come la personificazione dello spirito della Storia a cavallo.
Il filosofo franco-svizzero, invece, vi vedeva soltanto il tiranno, il capo di uno Stato di polizia, un “usurpatore”.
Anzi, la ragione per cui Hegel era pieno d’ammirazione, in Constant divenne motivo di aberrazione: il regime napoleonico è infatti basato sulla smania di conquista, sul militarismo e la politica espansionistica di potenza, l’opposto della mentalità commerciale intrinsecamente pacifica e pacifista.
Il “calcolo civile” dei commerci (e della finanza) è da preferire – secondo Constant – all’“istinto selvaggio” del bellicismo guerrafondaio, perché il primo permette il dispiegarsi delle virtù private ed è garanzia della loro tutela, mentre il secondo le comprime e le calpesta fino a richiedere il sacrificio del bene supremo: la vita del singolo.
In sostanza, Constant anticipò qui l’ideologia del libero mercato contro le chiusure protezioniste degli Stati ancorati all’ideologia della forza bruta.
Parentesi filo-napoleonica
Dopo la caduta del regime napoleonico rientrò nel gioco politico la Restaurazione monarchica.
In questo scenario la parentesi dei cento giorni del redivivo Bonaparte (20 marzo-8 luglio 1815), in cui l’ex imperatore tornò temporaneamente al potere dopo essere fuggito dal confino all’isola d’Elba, vide Constant cambiare improvvisamente barricata.
A sorpresa, questi accettò l’incarico che un abile Napoleone gli propose per redigere il testo legislativo, l’Acte Additionel, che avrebbe dovuto sancire il secondo tempo del bonapartismo instaurando una monarchia di tipo costituzionale sul modello anglosassone.
Proprio lui, l’anti-napoleonico per eccellenza, figurava tra i fautori della nuova costituzione concessa da Luigi XVIII, il sovrano della Prima Restaurazione.
Napoleone lo ricompensò nominandolo membro del Consiglio di Stato e gli anti-bonapartisti gliela giurarono.
Nelle vie di Parigi venne distribuito un volantino che riproduceva un articolo di Constant di non molto tempo prima, in cui Bonaparte veniva definito come un “Attila” con un commento feroce: come si poteva dar credito a un uomo del genere, al “transfuga” Benjamin Constant?
Per quest’ultimo fu un boccone amaro dal quale tentò di difendersi dimostrando che era rimasto fedele ai suoi princìpi teorici.
Tuttavia, il risultato fu che non riuscì più a togliersi di dosso la nomea di opportunista voltagabbana, di “inconstant Constant”, come venne sprezzantememente bollato.
Il romanzo “Adolphe”

Sconfitto definitivamente Napoleone nella battaglia di Waterloo (18 giugno 1815), Constant pensò bene di auto-esiliarsi.
Rimetterà piede in Francia solo l’anno dopo, mentre scrive l’Adolphe.
La trama narra di un giovane libertino sentimentalmente arido che conosce la bellissima Ellénore, amante di un nobile da cui ha avuto due figli.
Il giovane la seduce senza tuttavia esserne innamorato, incapace com’è di provare sentimenti accesi e profondi.
La donna lo ricambia con un amore ai limiti dell’autolesionismo (gli sacrifica non solo i soldi, ma anche i figli), e lui reagisce sentendosi in trappola.
Decide di lasciarla, ma lei non desiste: Adolphe si impietosisce e, quando la donna si trasferisce in Polonia, si unisce a lei promettendo a un amico di suo padre che l’avrebbe lasciata.
Pieno di dubbi e tormentato dal pensiero della morte che alimenta il suo distacco emotivo dal flusso della vita, Adolphe procrastina la rottura ma nel frattempo, l’amico del padre confida alla donna le intenzioni dell’amato.
Per il dispiacere, giorno dopo giorno Ellénore si spegne fino alla morte: a questo punto Adolphe è finalmente libero, ma per il resto della vita – che passerà in solitudine – sarà roso dal rimorso.
Si tratta di un romanzo in cui Constant riflette le sue esperienze di libertinaggio, con l’intento didattico di denunciarne le seduttive storture.
In questo senso, è rilevante che nella prefazione alla seconda edizione l’autore specifichi che, una volta entrati nel tunnel della dissipazione, la scelta comporta irreversibilmente effetti disastrosi per chi vi si avventura.
Sembra che Constant percepisca la necessità di alzare una barricata preventiva, segno che il fascino della vita dissoluta – che nel secolo precedente aveva avuto proprio in Francia i suoi massimi teorici e praticanti – esercitava ancora un influsso tutt’altro che moribondo.
Fra le righe, si legge anche un omaggio di Constant alla propria gioventù.
Le due libertà
“Dal fatto che la libertà moderna differisce dalla libertà antica deriva infatti che essa è altresì minacciata da un pericolo di natura differente.
Il pericolo della libertà antica era che gli uomini, attenti soltanto ad assicurarsi la partecipazione al potere sociale, non rinunciassero troppo a buon mercato ai diritti e ai godimenti individuali.
Il pericolo della libertà moderna è che, assorbiti nel godimento della nostra indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, noi possiamo rinunciare troppo facilmente al nostro diritto a partecipare al potere politico”.
Il 1819 segnò una data che a posteriori sarà capitale per la fama di Constant.
Nel febbraio di quell’anno l’intellettuale pronunciò il discorso “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni” all’Athénée Royal di Parigi.
Fu forse il momento più alto della sua carriera pubblica, al quale non a caso debbe l’elezione alla Camera.
In questa occasione Constant vi riversò, distillandola, la sua concezione politica ormai giunta a piena maturazione rifacendosi a quello che era diventato un sotto-genere letterario vero e proprio, il confronto con la classicità greca e soprattutto romana, la cui imitazione aveva contrassegnato la simbologia e iconografia rivoluzionaria.
I fasci littori, il Consolato, il Tribunato: erano tutte mutuazioni dalla Roma repubblicana, un omaggio alla libertà antica.
Per Constant, tale libertà era una pericolosa illusione: bisognava guardare alla modernità, allora identificata nell’Impero inglese retto da una monarchia costituzionale che dai tempi della Gloriosa Rivoluzione (1688) costituiva un faro per gli amanti della libertà del popolo entro una cornice di legge.
Libertà Moderna
Cos’è la libertà moderna? È la libertà intesa come indipendenza.
Scrive Constant: “Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell’arbitrio di
uno o più individui.
Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza rendere conto delle proprie intenzioni e della propria condotta.
Il diritto di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie.
Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo, sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l’autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione”
La libertà dei moderni, in sintesi, è l’indipendenza individuale entro i limiti fissati dalla legge, vale a dire la facoltà dell’individuo di pensare e agire senza che lo Stato (il potere pubblico) possa determinarne a priori le scelte, almeno finché tali scelte non ledano lo spazio di quelle altrui.
Uno spazio, dunque, riservato a ciascuno e che di per sé è vuoto e lasciato alla volontà del singolo in ogni sua forma: libertà di pensiero, di religione, di attività economica, di movimento, di riunione, di associazione e di tutele di fronte alla magistratura.
Si tratta di un plesso di diritti che non è una concessione dall’alto ma è connaturato all’individuo.
Libertà antica
La libertà degli antichi, invece, è la libertà intesa come partecipazione.
Constant lo dice esplicitamente: “La libertà dei tempi antichi era tutto ciò che assicurava ai cittadini la più ampia partecipazione possibile all’esercizio del potere sociale”.
La libertà degli antichi consisteva nell’esercizio di diritti che erano al contempo doveri, primo fra tutti per l’appunto la partecipazione attiva e in prima persona alla politica, in tempi in cui ciò era materialmente possibile grazie agli spazi territoriali ristretti (la città-Stato, le poleis).
Era una libertà che, rispetto a quella moderna, aveva il vantaggio di promuovere il valore del civismo e dell’attaccamento alla comunità e al senso di patria, ma che implicava una sottomissione individuale inaccettabile per un cittadino moderno, per il quale al primo posto c’era l’interesse privato e non più collettivo.
Pragmatismo borghese
Va detto che il liberalismo di Benjamin Constant non si confondeva con certi successivi sviluppi in senso libertario radicale.
Per l’intellettuale francese, il privato cittadino non doveva ridursi a una monade interamente assorbita dal proprio particolarismo egoistico.
Inoltre, lo Stato aveva il compito di coinvolgerlo nella gestione della cosa pubblica, ponendosi il problema di renderlo emotivamente simpatetico alle sorti comuni.
Del resto, bisogna ricordare che Constant era pur sempre influenzato dallo spirito del suo tempo, il quale era attraversato dall’impeto del Romanticismo.
Di qui la sua insistenza nel portare un attento, quasi riverente rispetto alle tradizioni, agli usi e costumi religiosi e locali, particolare che però non fa di lui un democratico.
Constant non solo fu sempre contrario a ogni ipotesi di suffragio universale, cioè ad allargare il diritto di voto a tutte le classi sociali, ma per lui le libertà politiche erano il mezzo per assicurare le libertà civili e non già il grimaldello per ampliare lo spettro dei diritti sociali.
Insomma, De Rebecque era un pensatore borghese, un acerrimo avversario per qualunque cedimento alla politicizzazione dell’esistenza e un pragmatico che tenne sempre la soglia censitaria, ovvero la ricchezza patrimoniale, come criterio di selezione della classe dirigente e che rifuggiva da ogni tentazione egualitaria sul piano sostanziale (sinonimo, per lui, di prevaricazione e oppressione).
La Vecchiaia e la Morte
La Concezione dello Stato
Durante i suoi ultimi e intensi anni di attività, Benjamin Constant divenne protagonista di una tenace battaglia in difesa degli istituti liberali, sia dai banchi del parlamento, sia in opere che andò via via pubblicando:
- i Princìpes de politique (1815, non completa),
- il Cours de politique constitutionnelle (1818-1820),
- il Commentaire sur l’ouvrage de Filangieri (1822-1824).
È in questi scritti, in particolare nel primo, che Constant delineò una propria teoria dello Stato.
Prima di tutto, è da sottolineare che i princìpi di fondo e l’architettura complessiva del costituzionalismo constantiano restano invariati nel tempo, nonostante Constant stesso, da repubblicano quale era stato fino al 1803, fosse diventato poi monarchico.
La forma dello Stato per lui equivale alla cornice più adatta nel dato momento storico, non a una formula fissa e assoluta.
Semplicemente, la monarchia di diritto costituzionale a suo giudizio era, nella fase post-napoleonica, la più atta a conciliare libertà e tenuta sociale.
Premesso ciò, Benjamin Constant suddivide la sovranità in cinque poteri:
Potere Neutro
1) Chiamato anche “preservatore”, è il potere dotato della missione di fare da arbitro super partes rispetto ai conflitti fra gli altri poteri, specialmente fra quello legislativo ed esecutivo.
Inoltre, questi rappresenta anche il portato più originale del pensiero costituzionale di Constant.
Dalla Convenzione al Comitato di Salute Pubblica, dal Direttorio al Consolato e poi all’Impero, la Francia era stata il laboratorio di sperimentazioni con effetti devastanti sia sul corpus che sull’autorità delle leggi, nonchè sulla convivenza civile.
Alla luce di ciò – secondo Constant – è indispensabile una sorta di giudice superiore alle parti di cui lo Stato si compone che si comporti come un arbitro di ultima istanza dotato dei poteri per sciogliere il legislativo o destituire l’esecutivo in caso di irrimediabili fratture.
Tuttavia, per fare questo, è necessario che questa figura sia imparziale e che ricopra un potere terzo; è per questo motivo che Constant definisce un tale potere come “neutro”.
In una repubblica, la terzietà può derivare da un certo e complicato congegno istituzionale, mentre nella monarchia è affidata al re, il quale viene quindi privato delle prerogative necessarie per normare e governare direttamente.
In questo scenario, il monarca si dà come punto di equilibrio e come garante della libertà costituzionale per impedire arbitri e situazioni di paralisi.
Il Potere Legislativo ed Esecutivo
Potere Rappresentativo
2) È il ganglio centrale dell’ordinamento: senza assemblee di rappresentanti del popolo sovrano, non si può parlare di uno Stato sovrano.
Nella fase monarchica, Constant prevedeva di scinderlo in due: una Camera alta, composta da nominati che trasmettono la carica per via ereditaria, e una Camera bassa, eletta a suffragio limitato.
La Camera ereditaria, o Senato, è dovuta alla presenza del monarca, anch’egli ereditario.
Se il Capo dello Stato è tale per nascita (così da garantirne la natura neutra di potere preservatore) deve poter esserlo anche una delle due Camere, che in questo modo funge da contrappeso ai cambiamenti della Camera bassa eletta dal popolo.
In questo modo – ritiene Constant – l’esigenza di aderire ai mutamenti della società potrà accompagnarsi a quella, altrettanto importante, dell’ordine e della continuità.
Potere Ministeriale
3) Con questo aggettivo Constant indica il potere esecutivo, il governo, distinguendolo dal potere del re.
Il Potere Ministeriale viene nominato da quest’ultimo, sulla base della fiducia di entrambe le Camere.
Constant sottolinea con forza la responsabilità in capo ai ministri del governo, i quali possono finire sotto accusa per tre specie di reati:
- Abuso di potere,
- Atti contrari al pubblico interesse,
- Attentato contro la libertà.
Nei primi due casi, sono sottoposti al giudizio di un tribunale speciale costituito presso la Camera alta, mentre nel primo, vengono equiparati ai normali cittadini e giudicati da un tribunale ordinario.
Il giudizio deve poter estendersi anche ai funzionari statali che hanno fatto da esecutori di eventuali reati commessi dai membri del governo.
Nello specifico, questi non posso invocare a loro discolpa il dovere di obbedienza, dato che l’obbedienza non può essere cieca.
Tutele Giudiziarie
4) Al cittadino deve essere assicurato il diritto di appello e severissime devono essere le pene per i giudici che violano le leggi esondando dalla sfera di loro competenza.
L’indipendenza del potere giudiziario è garantita dalla nomina regia e dall’inamovibilità dei suoi titolari.
I giudici sono affiancati da giurie composte da cittadini chiamati a contribuire all’amministrazione della giustizia, un avvenimento che funge da potente stimolo perl’educazione civica delle masse popolari.
Quanto al codice penale, questo deve prevedere pene proporzionate, mai lesive della dignità umana e mai retroattive.
Una particolare attenzione è riservata alla ricorrente tentazione da parte della politica di istituire tribunali eccezionali con il pretesto della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Le forme legali ordinarie devono essere rispettate scrupolosamente, anche perché – argomenta Constant – se le forme sono necessarie, perché sospenderle?
E se al contrario sono inutili o inadatte, perché conservarle?
Constant, da liberale purosangue, discute anche dei casi di delitti particolarmente gravi in cui la pressione dell’opinione pubblica spinge per sopprimere le garanzie dell’accusato contestando i formalismi della legge.
Sull’argomento, De Rebecque sostiene che è proprio in tali eventualità che i diritti formali devono essere tutelati alla lettera.
Autonomie Locali
5) Chiamato “Potere Municipale“, si identifica in un articolato reticolo di poteri amministrativi e territoriali.
Su questo tema, Constant sarà destinato a essere ricordato come un innovatore controcorrente, rispetto a un Paese (il suo) che dalla Rivoluzione in poi prediligerà un impianto centralista e prefettizio.
In verità, la centralizzazione omologante imposta con brutalità dai giacobini prima e dal bonapartismo poi aveva suscitato in Benjamin Constant l’orrore che l’oppressione totalitaria provocherà in tutti i liberali dell’Otto e Novecento.
Il corretto abbandono del caotico groviglio di privilegi e campanilismi di origine feudale non doveva, a suo parere, capovolgersi in una camicia di forza che negasse un giusto grado di autonomia locale.
Breve ritorno all’assolutismo

Ritratto di Carlo X di Borbone e conte d’Artois
Il parlamentarismo liberale della Seconda Restaurazione si rivelò essere un intermezzo.
Nel 1824 ascese al trono Carlo X di Borbone e conte d’Artois, capo naturale della fazione dei realisti monarchici e fratello minore di Luigi XVI -ghigliottinato nel 1793 – e di Luigi XVIII.
Carlo X fu il luogotenente generale di quest’ultimo, mettendosi alla testa del Terrore Bianco con cui vennero epurati tutti i funzionari statali in servizio nel periodo napoleonico.
Peggiorando le condizioni di salute del fratello, il quale dovette cedere la corona, Carlo d’Artois salì al trono il 16 settembre 1824 con un programma preciso: tornare all’antico regime senza nessuna concessione ai cambiamenti degli ultimi quarant’anni.
Mentre Luigi XVIII era timoroso delle possibili reazioni popolari, Carlo X fece ad esempio mettere a budget, nel bilancio statale, degli stanziamenti per rifondere le famiglie dei nobili danneggiati dalla Rivoluzione e giunse persino a ripristinare i riti di origine medievale come la taumaturgia del sovrano, ovvero la guarigione dei malati per imposizione della mano (“Io ti tocco, Dio ti guarisca”).
L'ultimo Bagliore
Constant si oppose al nuovo corso, sostenendo i moti rivoluzionari del luglio 1830 che rovesciarono il sovrano “di Francia” per insediarne uno “dei Francesi”, Luigi Filippo d’Orléans.
La Costituzione Orleanista può essere considerata a buon diritto come una traduzione del costituzionalismo monarchico dell’ultimo Constant.
De Rebecque prevedeva che vi fosse un re di diritto ereditario che dividesse il potere con una Camera dei deputati eletta a suffragio ristretto – riservato alla classe più ricca della popolazione – e un Senato di nomina regia.
Per quanto riguarda l’esecutivo, questi sarebbe stato formato da un consiglio dei ministri espressione del parlamento e avrebbe avuto la funzione di governare.
Per Constant, la fase orleanista fu l’ultimo bagliore in politica: benché vecchio e malato, ebbe l’onore di mettersi alla testa, in barella, del corteo di rivoluzionari vittoriosi.
Morirà solo pochi mesi dopo, l’8 dicembre 1830.
Fu sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise, dove si trova tuttora.
In suo onore è stata eretta una statua al Panthéon di Parigi, costruito nel 1903, nel monumento agli esponenti della Restaurazione (François-René de Chateaubriand, Jacques-Antoine Manuel e altri).
La storia come liberazione
Benjamin Constant è stato a lungo considerato un pensatore “minore”, frammentario, troppo legato al momento politico a cui dedicò tutto il suo impegno da intellettuale militante.
In realtà, districandosi nella sua vasta opera, è possibile estrapolare agevolmente una sua filosofia globale che se non era di tipo metafisico – termine che avrebbe probabilmente rigettato – era senz’altro una filosofia della storia.
Come Kant, anche Constant era convinto che la storia racchiudesse un disegno in cui la natura umana si esplicasse, o per meglio dire si dispiegasse.
Detto altrimenti, la storia era la progressiva rivelazione delle potenzialità umane.
Da francese seguace dei Lumi, Benjamin Constant era altresì convinto che in questo processo la ragione dovesse prevalere sulle passioni, correggendole, sviluppando inoltre la libertà dell’individuo.
Come ha affermato lo studioso Stefano De Luca: “Si tratta sostanzialmente dei diritti individuali di libertà, i quali, affermandosi progressivamente contro tutte le forme di potere oppressivo ed abusivo e contro le diseguaglianze di principio, permettono al genere umano di elevarsi eguagliandosi.
In altre parole, le idee o princìpi di cui parla Constant altro non sono che i princìpi della tradizione giusnaturalistico-liberale, sottratti alla loro atemporalità e immessi nel flusso storico quale veicolo di una loro progressiva realizzazione.
Ma se la storia è il frutto di un disegno necessario, allora – osservando il suo sviluppo – sarà anche possibile coglierne la direzione e le tappe principali.
Sugli inizi di tale processo Constant è assai prudente.
L’origine della società, scrive nel De La Force, è un grande enigma che non può essere risolto; ma se le origini sono avvolte in una nube impenetrabile, il successivo sviluppo è viceversa semplice e uniforme”
Per Constant, il passaggio avverrebbe dalla natura alla storia, o più precisamente: la Natura umana attraverso la Storia degli uomini.
Il che è logico, se si pensa che Constant tenne sempre fede al portato primo e fondamentale della Rivoluzione Francese, vale a dire la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che presuppone un diritto egualitario alla libertà come attributo naturale dell’individuo in quanto essere umano.
L’accento andrebbe posto, sotto il profilo non più solo strettamente filosofico ma politico, sull’aggettivo “egualitario”.
È l’uguaglianza come idea-forza dell’irruzione delle masse sulla scena la vera novità di rottura che accende le speranze e al tempo stesso terrorizza l’ambiente sociale di fine Settecento e inizio Ottocento.
Il rapporto tra libertà e uguaglianza
Se il moto rivoluzionario sarà sempre guidato dalla classe economicamente superiore in seno al popolo, ovvero la borghesia, sono le frementi piazze popolate dai ceti più bassi a far degenerare, agli occhi del borghese Constant, il cambiamento in oppressione culminante nel Terrore.
Qui, sia rispetto al pensiero dell’epoca, ma poi anche in tutto quello del secolo successivo (fino a tornare d’attualità oggi), la contrapposizione constantiana fra i due poli definibili liberale e democratico è stata di primaria salienza.
Da una parte la richiesta di diritti sempre più estesi in senso sociale e sostanziale, i quali sfociano nella dittatura della maggioranza; dall’altra, la necessaria consapevolezza di porre limiti invalicabili alla marcia dell’uguaglianza per preservare il bene fondamentale, che è e deve restare la libertà individuale.
Constant si schiera decisamente per il primato della libertà sul premere dei bisogni egualitari.
Storicizzando la sua posizione, si può ben capirla.
Noi oggi non ci rendiamo conto dello sgomento che suscitò il Terrore giacobino nei contemporanei, compresi coloro che avevano salutato con ottimismo i primi vagiti rivoluzionari.
Fu l’eliminazione sociale e fisica della nobiltà di sangue, più ancora che la testa mozzata del sovrano, a costituire un fatto senza precedenti che impressionò enormemente l’intera società europea.
La paura delle classi dominanti era, comprensibilmente, che l’esempio francese si diffondesse come un contagio negli altri Paesi e di qui l’immediato formarsi di coalizioni contro la Francia rivoluzionaria.
Considerazioni sul Modello Anglosassone
L’esempio a cui guardava il francese Benjamin Constant era – come detto – l’Inghilterra, ma può essere altrettanto interessante il paragone con l’esperienza americana.
“Lì”, spiega ancora De Luca, “è nato un ordine politico straordinariamente stabile, perché la Costituzione che gli americani si danno undici anni dopo l’indipendenza (che è anche
la prima costituzione federale che si conosca) è sostanzialmente ancora quella.
In Francia invece il principio democratico (che come spiegherà Tocqueville non aveva radici nei costumi, nelle istituzioni, nella mentalità) viene strumentalizzato: i giacobini dicono di agire nel nome del popolo, ma non vi sono strumenti o istituzioni per verificare questa asserzione, non ci sono canali di verifica del consenso.
C’è l’auto-identificazione con la volontà popolare e, come dire, il ’sequestro’ della volontà popolare stessa (come spesso accade nei ‘movimenti’)”.
Riletto con gli occhi del nostro presente Constant non solo merita, come per altro ha meritato già, di scrollarsi di dosso “l’occultamento attuato dalla storiografia marxista” del Novecento, ma anche, e soprattutto, un posto d’onore come padre nobile del liberalismo classico, trasfusosi poi nel liberalismo odierno, ambedue modellati sul paradigma anglosassone.
Le evoluzioni che differenziarono lo sviluppo di questa vera e propria visione del mondo sono, tuttavia, accomunate dall’assillo teorico che travagliò e fecondò il contributo constantiano.
Facciamo riferimento alla libera espressione dell’individuo, soggetto centrale e sovrano della concezione liberale e neo-liberale della vita sociale.
Il Precursore del Liberalismo
Benjamin Constant rappresenta una delle più esemplari figure di intellettuale impegnato dell’età contemporanea.
In lui, lo studioso intreccia la riflessione teorica con l’azione politica diretta, traendo dal vivo il dibattito del momento.
Dotato di un esprit ironico e polemico di gusto tipicamente francese, Constant diventò un punto di riferimento per la corrente d’idee che fra fine Settecento e inizio Ottocento si stava affermando in Europa e che poi prese il nome di liberalismo.
Nonostante l’enorme differenza con filosofi sistematici a lui coevi (si pensi a Hegel, ad esempio), l’itinerario constantiano inseguì in certa misura una visione onnicomprensiva della realtà sociale, benché le opere che nelle sue intenzioni avrebbero dovuto esprimerla sono rimaste a lungo, in tutto o in parte, inedite.
Si tratta dei Principes de politique applicables à tous les gouvernements e dei Fragments sur la possibilité d’une constitution républicaine dans un grand pays, venuti alla luce per intero solo nel Novecento.
Facciamo riferimento a scritti brevi e pamphlettistici che sono rimasti nella storia come pietre miliari della concezione che, due secoli dopo, ha finito col prevalere nell’Occidente liberale e democratico.
Fu proprio Constant, specialmente ne “La Libertà degli Antichi Paragonata a quella dei Moderni”, a immortalarne le dicotomie fondamentali: Stato di diritto contro Stato autoritario, primato dell’individuo sulla collettività, precedenza alle libertà private sulle libertà pubbliche.
Il suo messaggio di fondo è attraversato da un ottimismo razionalistico che lo apparenta, sia pur alla rovescia, con un altro grande osservatore e pensatore a lui subito successivo – Alexis de Tocqueville (1805-1859) – anch’egli coinvolto in prima persona nella lotta politica.
Tocqueville mise in guardia dalle possibili degenerazioni della società liberale di massa di cui poté vedere in prima persona un già esteso sviluppo negli Stati Uniti d’America.
Alle riflessioni di menti acute e al tempo stesso di uomini d’azione come Constant (e Tocqueville) dobbiamo lo sbocciare, in ambito francese, del pensiero politico liberale nella sua forma più alta.
Le opere di Benjamin Constant

Dal 1786 al 1833, Benjamin Constant scrisse più di 16 opere tra saggi, romanzi e scritti autobiografici.
Ecco l’elenco completo delle sue pubblicazioni:
- De la discipline militaire des Romains (1786)
- Lettres à un député de la Convention (1795)
- De la force du gouvernement actuel de la France et de la nécessité de s’y rallier (1796)
- Des réactions politiques (1797)
- Des effets de la Terreur (1797)
- Fragments d’un ouvrage abandonné sur la possibilité d’une constitution républicaine dans un grand pays (1795-1810)
- Il Quaderno Rosso (1807)
- Cécile (1811)
- Lo spirito di conquista e dell’usurpazione (1813)
- De l’esprit de conquête et de l’usurpation dans leurs rapports avec la civilisation européenne (1814)
- Réflexions sur les constitutions, la distribution des pouvoirs et les garanties dans une monarchie constitutionnelle (1814)
- Principes de politique applicables à tous les gouvernements représentatifs (1815)
- Adolphe (1816)
- Mémoires sur les Cent-Jours (1820)
- Cours de politique constitutionnelle (1818-1820)
- La Libertà Degli Antichi Paragonata a Quella dei Moderni (1819)
- De la religion considérée dans sa source, ses formes et son développement (1824-1830)
- Appel aux Nations chrétiennes en faveur des Grecs (1825)
- Mélanges de littérature et de politique (1829)
- Du polythéisme romain considéré dans ses rapports avec la philosophie grecque et la religion chrétienne (1833)
Scopri in sintesi il manoscritto più famoso e rappresentativo di Benjamin Constant: La Libertà Degli Antichi Paragonata a quella dei Moderni (arricchito con il saggio Conquista e Usurpazione e dalla prefazione a cura di Francesco Pietrobelli)!
2 libri al prezzo di uno: La Libertà Degli Antichi Paragonata a quella dei Moderni e Conquista e Usurpazione
In un momento storico in cui il mondo osservava sconvolto la distruzione dell’ordine che aveva sorretto i rapporti fra gli Stati sino ad allora, Benjamin Constant elaborava e consegnava all’immortalità il pensiero filosofico che avrebbe orientato la società occidentale per almeno altri due secoli.
Era il 1819 e De Rebecque pronunciò per la prima volta all’Athénée Royal di Parigi il discorso contenuto nelle pagine di questo testo, vivendo il momento più alto della sua carriera pubblica.
Forse inconsapevole di ciò che aveva appena fatto, l’intellettuale francese diede vita al manifesto politico che da quel momento in poi avrebbe guidato le élites e i popoli di tutto il mondo.
Per la prima volta, Constant diede ai suoi lettori una prospettiva inedita sull’individualismo come unica soluzione per l’emancipazione dell’uomo, elaborando la distinzione che alimenta tutt’oggi il dibattito sulle relazioni tra le libertà del cittadino e lo Stato.
Oggi l’intero discorso di Benjamin Constant e la traduzione aggiornata del suo saggio più conosciuto – Conquista e Usurpazione – sono raccolti da Ibex Edizioni in un unico volume disponibile in copertina flessibile, rigida e in formato Kindle.
Ad arricchire ultieriormente questo classico, vi è la prefazionea cura di Francesco Pietrobelli, la mente dietro a uno dei portali di filosofia più seguiti in Italia (la Gazzetta Filosofica).
Il suo contributo fornisce a chi legge un contesto storico e filosofico che non solo rimpingua la comprensione del lettore ma sottolinea l’importanza duratura e la disarmante attualità delle opere di Constant.
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