Il Principe di Niccolò Machiavelli Riassunto Approfondito

Quello che hai davanti è il resoconto più dettagliato che potrai trovare su internet; come faccio a dirlo? Semplice: all’interno di questo articolo troverai la spiegazione e la sintesi in italiano moderno di ogni capitolo che compone questo libro.
Spiegazione della dedica di Niccolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo de’ Medici
L’autore, Niccolò Machiavelli, scrive una breve opera per guadagnarsi le grazie di Lorenzo di Piero de’ Medici, signore di Firenze e il primo duca di Urbino della dinastia Medici.
Qui, il fiorentino dona al suo signore quello che è il suo tesoro più prezioso, la sua conoscenza politica.
Questo suo regalo non deve essere frainteso come un atto di presunzione, poiché Machiavelli sostiene che solo un membro del popolo ha la distanza giusta da un principe per esaminarne le caratteristiche.

Ritratto di Niccolò Machiavelli
Capitolo I:
di quanti generi sono i principati e in quanti modi si acquistano
Ci sono due tipi di stati: le Repubbliche e i Principati; di questi, i secondi a loro volta possono essere suddivisi tra ereditari o nuovi.
I principati possono esserlo del tutto (come in seguito a una conquista o a un colpo di stato) o possono essere aggiunti a uno stato ereditario già di possesso del principe (come accadde con il Regno di Napoli dopo la morte di Federico I, quando la città divenne parte dei territori sottomessi alla corona di Spagna).
Gli stati acquisiti possono essere tali direttamente tramite il lavoro del proprio esercito, quello di un altro soggetto o per eventi o meriti specifici, pur mantenendo la possibilità di vivere in libertà o sotto il dominio diretto del loro conquistatore.
Capitolo II:
i principati ereditari
L’autore descrive gli stati ereditari e afferma che sono più facili da gestire rispetto a quelli nuovi. In questa tipologia, un principe prudente sarà in grado di mantenere il potere semplicemente, a meno che non venga travolto da una forza esterna.
Machiavelli prende come esempio il Duca di Ferrara, il quale fu spodestato a causa della sua debolezza contro i Veneziani e papa Giulio II.
Gli stati di tipo ereditario sono anche più amati e benvoluti dal popolo, a meno che non siano governati da un Principe con vizi eccessivi; inoltre occorre ricordare che la stabilità degli Stati ereditari è meglio garantita se non vi sono cambiamenti di grande importanza, poiché le variazioni politico-istituzionali portano a ulteriori cambiamenti e sconvolgimenti.
Capitolo III:
i principati misti
Qui, il testo descrive le difficoltà che un nuovo Principe incontra quando acquisisce un nuovo territorio.
Il popolo tende a credere che la situazione migliorerà con un nuovo signore, ma spesso il nuovo regnante delude le aspettative e questo porta a ulteriori desideri di cambiamento.
Il successo dipende dalla gestione dell’esercito e della relazione con la gente, la quale deve essere conquistata, in quanto il Principe si trova in una situazione tale per cui si è assicurato delle inimicizie ma non delle alleanze e non può agire con la forza.
L’esempio della conquista di Milano da parte di Luigi XII di Francia è stato menzionato come episodio negativo, poiché l’occupazione militare del nuovo stato viene descritta come un’altra difficoltà da affrontare.
La situazione è più complessa quando il nuovo territorio ha tradizioni e usanze diverse dallo stato che lo ha acquisito.
Se per mantenere il territorio è sufficiente assicurarsi di eliminare la stirpe precedente ed evitare di stravolgere le leggi e le tasse nel primo caso, con il secondo il Principe dovrebbe trasferirsi sul posto e costituire colonie fedeli per evitare disordini.
Gli uomini vanno annientati oppure trattati con dolcezza, soprattutto perché una occupazione militare fa lievitare le spese, causando così disastri economici e nuove inamicizie.
Infine, ricordando l’esempio dei romani in Etolia, il Principe dovrebbe al contempo difendere i vicini più deboli e tentare di eliminare le personalità più forti, rimanendo così la persona più forte nel nuovo territorio.
Capitolo IV: perché il regno di Dario, che fu occupato da Alessandro, non si ribellò ai successori di Alessandro dopo che questi morì
La difficoltà nella conquista e nel mantenimento dei nuovi territori dipende dal sistema di governo, ovvero se il Principe ha tutta l’autorità e lavora tramite dei servitori o se è circondato da signori feudali.
Conquistare stati con un sistema Principe-servitori (come quello dell’Impero Ottomano) è più difficile, ma una volta vinti sono più facili da mantenere, se la stirpe del signore sconfitto viene estinta.
Al contrario, nei principati governati da un sistema come quello francese, è più facile creare agitazioni interne ma risulta più complicato mantenere il dominio.
Il regno di Dario si trovava in una posizione simile a quella ottomana e quindi la conquista da parte di Alessandro fu relativamente semplice.

Una cartina dell’Italia contemporanea al Machiavelli, in questo caso specifico i confini rappresentati sono quelli del 1494.
Capitolo V: in che modo si devono governare le città o i principati che, prima di essere occupati, vivevano con leggi proprie
In questo capitolo, il testo descrive i tre modi tramite cui mantenere il dominio su uno stato occupato che prima si gestiva tramite un proprio sitstema di leggi:
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Distruggerlo;
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Abitarvi personalmente;
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Mantenere le leggi originarie;
Gli esempi citati sono gli Spartani e i Romani che hanno provato a mantenere il proprio dominio su Atene, Tebe, Cartagine e Numanzia, con risultati differenti: i primi persero i loro domini mentre i secondi furono costretti a distruggere le città che avevano conquistato.
La conclusione di Machiavelli è che per mantenere una città libera, bisogna distruggerla, altrimenti ci saranno sempre delle ribellioni da sopprimere.
Capitolo VI: i nuovi principati, acquisiti con i propri eserciti o con il proprio valore
Nel capitolo sesto, lo scrittore sostiene che per governare con successo un nuovo Principato è necessario avere virtù o fortuna, chiarendo comunque che la prima alternativa risulta assai più preferibile poiché consente di mantenere il dominio più a lungo.
Ricordandosi che se si vuole mitigare le difficoltà legate al governo di un nuovo territorio bisognerebbe abitarci, gli esempi di grandi leader che hanno eccelso nell’arte del governo sono Mosè, Ciro di Persia, Romolo, Teseo e Gerone.
Costoro furono aiutati dalla fortuna che, mutuamente alle loro virtù, ha reso possibile la realizzazione di ciò che è stato compiuto.
Chi arriva al potere tramite le proprie virtù lo fa con più fatica, tuttavia, mantiene il controllo con più facilità.
Il processo di acquisizione del potere può essere difficile in quanto richiede la creazione di nuove leggi, rendendo così il Principe il nemico di tutti i sostenitori del vecchio ordinamento.
La rivolta dipende da se i ribelli agiscono da soli o se sono spinti da altri, ma in entrambe i casi la natura dei popoli rende difficile mantenerli fedeli, considerando anche che i grandi leader sono in grado di ottenere risultati duraturi solo esercitando e mantenendo la propria forza.
Infine, quando i Principi incontrano delle avversità devono superarle con la virtù e, una volta eliminati i loro nemici, avranno un regno sicuro e onorato.
Capitolo VII: i principati nuovi che si acquistano con le armi di altri e con la fortuna
Questa volta il testo sostiene che coloro che diventano principi di stati senza meriti personali hanno difficoltà nel mantenere il potere perché questo si fonda sulla volontà e sulla sorte di chi glielo ha concesso.
Qui Machiavelli afferma che chi ha acquisito il potere secondo questi mezzi, non può comprendere e mantenere il dominio per via della sua mancanza di familiarità con il comando e dell’assenza della fedeltà necessaria per un tale compito.
L’esempio di Francesco Sforza, il quale divenne principe con la virtù e seppe mantenere il controllo, qui viene preso come riferimento positivo, mentre la vicenda del Duca Valentino, il quale acquisì il potere con la fortuna o le virtù degli altri e fu in grado di governare con il pugno di ferro (senza riuscire a mantenere il controllo a causa della sua mancanza di forza), è utilizzato come vicenda negativa.
Qui, l’autore stesso considera le azioni del Duca come un esempio da imitare, pur ricordando che il suo unico errore fu permettere l’elezione a papa di Giulio VI.
Capitolo VIII: di quelli che per scelleratezze sono arrivati al principato
Nell’ottavo capitolo, il testo tratta della possibilità di diventare un principe, titolo che può essere ottenuto tramite crudeltà o tramite il favore dei propri concittadini.
Machiavelli cita due esempi di come la crudeltà possa portare alla conquista del potere:
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Agatocle, un tiranno di Siracusa che divenne principe uccidendo gli aristocratici e i senatori della sua città;
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Oliverotto da Fermo, il quale divenne principe della sua città natale organizzando un banchetto e uccidendo le più alte personalità;
Qui l’autore sostiene che la crudeltà ben usata, ovvero utilizzata solo una volta e per necessità, può recare beneficio ai sudditi, mentre la crudeltà sfruttata costantemente e prolungata nel tempo, non può essere accettata.
Infine, il testo si conclude su come l’occupante debba sferrare tutti i colpi necessari in un momento solo per conquistare lo Stato, a differnza dei benefici, i quali devono essere fatti assaporare uno per volta.

Studi di testa di un uomo di Leonardo da Vinci. Probabilmente si tratta di un ritratto di Cesare Borgia.
Capitolo IX: il principato civile
Il Principato Civile descritto da Machiavelli è un tipo di potere che si acquisisce attraverso il favore degli altri cittadini. Non è basato su virtù o fortuna, ma piuttosto sulla combinazione di quest’ultima caratteristica e dell’astuzia.
Questo titolo può essere ottenuto con il favore del popolo o con il favore dei potenti, ossia le forze dominanti in ogni città.
Machiavelli identifica l’origine di queste potenze nella volontà della gente comune di non essere comandata o oppressa dai potenti e riconosce che costoro hanno invece l’interesse di comandare e opprimere i loro sottoposti.
Ad esempio, un individuo che diviene principe con il favore del suo popolo è un esempio di Principato Civile, mentre un individuo che ottiene questa carica con il favore dei potenti è un esempio di un altro tipo di autorità.
Queste due tendenze opposte danno origine a uno dei seguenti risultati:
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Principato;
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Libertà;
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Licenza (Anarchia);
In sintesi, il principato può essere instaurato dai potenti o dal popolo, a seconda di chi ha la forza maggiore e, nel primo caso, la loro eguaglianza con il Principe rende difficile la sua autorità.
Invece, quando il principato viene istituito dalla cittadinanza, il Principe ha maggiori possibilità di mantenere il controllo.
La volontà della popolazione di non essere oppressa è più facile da soddisfare rispetto a quella dei potenti, la quale si basa sull’oppressione.
Inoltre, bisogna notare come un principe non possa mai essere al sicuro in mezzo a una massa ostile, mentre lo sarebbe di più tra dei potenti che gli sono avversi, per via del loro numero più ridotto.
Il regnante deve cercare sempre di mantenere il favore dei popolani, ma non è vincolato a quello dei potenti, i quali possono appoggiarlo o opporsi a loro piacimento. Il caso peggiore è quello in cui chi governa si debba guardare le spalle sia dai potenti che dai suoi sudditi.
Gli uomini dotati di un certo tipo di potere all’interno del principato possono essere suddivisi in due categorie:
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Quelli che seguono la volontà del Principe;
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Quelli che non lo fanno;
I primi vanno onorati e lodati, mentre i secondi devono essere controllati poiché, qualora agissero con ambizione dolosa, il Principe dovrebbe temerli e proteggersi da loro per evitare che questi lo spodestino nei momenti di difficoltà.
Esiste tuttavia una condizione particolare per cui i potenti che vanno contro il Principe lo facciano per vigliaccheria: costoro devono essere sfruttati nelle occasioni propizie e ignorati in quanto codardi quando la situazione è sfavorevole a chi domina.
Il Principe deve avere il sostegno del popolo per essere sicuro di mantenere il potere: chi viene al trono con l’aiuto della gente deve mantenersela amica, mentre colui che viene al potere con l’aiuto dei potenti deve guadagnarsi il popolo.
Il sovrano che prende decisioni percepite come favorevoli dalla folla può ambire a ottenere più supporto dalla comunità rispetto a chi viene al potere direttamente tramite il mandato popolare.
Per evitare di essere abbandonato da questa forza, il regnante deve fondare il suo dominio sul popolo in maniera intelligente, con vigore, carattere, coraggio e impartendo ordini precisi.
Esempi di questo sono Tiberio e Caio Gracco nell’antica Roma e messer Giorgio Scali a Firenze.
La frase “chi fonda sul popolo, fonda sul fango” è vera solo per colui che crede a prescindere di essere difeso dai suoi cittadini, ma se costui fonda il proprio dominio sul popolo in maniera intelligente, questo non lo abbandonerà mai, anzi lo supporterà.
Il testo affronta inoltre la questione della stabilità di un Principe che comanda mediante magistrati o con i propri mezzi.
Se il Principe cerca di diventare Monarca Assoluto, rischia di perdere il potere a causa della ribellione dei magistrati o della mancata obbedienza dei cittadini e ciò potrebbe dissuaderlo dall’idea di acquisire questa carica, poiché le persone temono di più gli ordini dei magistrati che quelli del re.
Il Principe si trova così in una situazione di scarsa affidabilità, poiché non può fidarsi di nessuno nei tempi di pace o di guerra; pertanto, se il regnante è dotato di saggezza, dovrebbe cercare di mantenere il popolo fedele a sé sia nei momenti di tranquillità che in quelli più cupi.
Capitolo X: come vanno misurate le forze di tutti i principati
In questa parte del libro si esaminano le qualità dei Principati, distinguendo tra il Principe che è autosufficiente in materia di milizia e il colui che invece ha bisogno dell’aiuto di altri per condurre la guerra.
Quelli appartenenti al primo tipo sono in grado di radunare un esercito adeguato e di combattere una battaglia campale contro chiunque, inoltre, sono considerati più forti e indipendenti rispetto a quelli del secondo tipo, i quali non sono in grado di condurre battaglie campali e sono costretti a rifugiarsi dietro le mura delle loro città.
Qui Machiavelli incoraggia i principi a fortificare le loro città, affinché queste siano in grado di resistere a eventuali attacchi.
Più avanti col testo, sottolinea che una città ben fortificata non attirerà mai l’attenzione degli invasori, poiché questi sapranno che l’impresa sarebbe molto difficile o addirittura impossibile.
Continuando, lo scrittore spiega che la fortificazione non solo protegge la città stessa, ma anche il contado circostante; questo per via del fatto che un invasore non in grado di conquistare la città non tenterà di attaccare l’area circostante, in quanto non potrebbe vedere alcun vantaggio nell’intraprendere una missione senza speranza.
Come esempio, l’autore cita la situazione in Germania, dove tutte le città sono fortificate e nessuno si azzarda ad attaccarle, poiché questo sarebbe un compito difficile e poco attraente per gli invasori.
In conclusione, Machiavelli sostiene le costruzoni di questo tipo sono una strategia vincente per i Principi che non hanno la forza per condurre battaglie campali, affermando inoltre che un sovrano dotato di una città fortificata e del supporto del popolo non può essere attaccato con successo.
All’obiezione riguardo il fatto che il popolo potrebbe ribellarsi durante un lungo assedio, Machiavelli risponde dicendo che un Principe potente e virtuoso saprà sempre come affrontare la situazione.
Ad esempio, potrebbe dare speranza ai sudditi sulla brevità dell’assedio, intimidirli con la crudeltà del nemico o mettere al posto giusto i troppi arditi.
Inoltre, l’autore sottolinea che l’esercito nemico dovrebbe attaccare subito al suo arrivo, quando gli animi sono caldi e pronti per la battaglia, altrimenti inizierà a diffondersi lo sconforto.
Se i cittadini del contado vedono le loro case in fiamme e in cenere, si stringeranno ancora di più intorno al Principe e combatteranno con maggiore determinazione, in quanto il loro sovrano rappresenterà la loro unica speranza.
Capitolo XI: i principati ecclesiastici
I principati ecclesiastici si acquistano per meriti o per fortuna ma vengono mantenuti solo grazie ai dogmi antichi della religione.
Questi dogmi permettono al Principe di governare lo Stato in qualsiasi modo e di mantenerlo sicuro e felice, senza la necessità di meriti o fortuna.
I sudditi, nonostante non siano governati direttamente, non hanno intenzione di ribellarsi e gli stati, nonostante siano indifesi, non vengono mai attaccati. Questo tipo di principato è l’unico che sia veramente sicuro e felice.
L’autore, tuttavia, sceglie di non discutere troppo su questi principati poiché essendo guidati da una volontà superiore sarebbe considerato ardito farlo; tuttavia, si concentra sul regno del Papa e su come sia diventato così potente.
Di seguito, Machiavelli parla di come in Italia, prima di Alessandro VI, vi fossero diversi potentati come i Veneziani, il Re di Napoli, il Papa, il Duca di Milano e di Firenze e di come le loro preoccupazioni principali fossero impedire l’ingresso di forestieri in Italia e che qualcuno estendesse il proprio dominio.
Tra questi potentati, il Papa e i Veneziani erano quelli che causavano maggiori preoccupazioni, ma fino a un certo momento, in quanto nessuno dei due era riuscito a prevalere sull’altro.
In seguito, con l’avvento di Alessandro VI, la Chiesa riuscì a spegnere i baroni romani, gli Orsini e i Colonna grazie all’aiuto del Duca Valentino.
Questo permise allo Stato Pontificio di diventare una grande potenza e Papa Giulio continuò quest’opera cacciando i Veneziani e i Francesi e guadagnando Bologna.
Quindi, una volta insediatosi Papa Leone X Medici, questi si trovò in mano un regno potentissimo e si rivelò essere una figura che rese il papato grande in santità.
Capitolo XII: tipologie di milizia e i soldati mercenari
Nel suo trattato “Il Principe“, Machiavelli discute delle diverse strategie che un Principe può utilizzare per mantenere il controllo sul suo Stato, tra cui possedere un buon esercito.
Esistono diverse tipologie di armate:
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Proprie;
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Mercenarie;
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Ausiliarie;
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Miste;
Qui Machiavelli sostiene che gli eserciti mercenari e ausiliari sono pericolosi e inutili perché i loro membri sono spesso divisi, ambiziosi, disordinati e infedeli.
Essi non sono disposti a offrire la loro vita per il principe o per lo stato, ma solo per il denaro che ricevono in cambio, infatti solo un esercito proprio può garantire la stabilità e la sicurezza del Principe e del suo territorio.
Machiavelli cita l’uso di eserciti mercenari come la rovina dell’Italia parlando di come la loro presenza abbia permesso ai francesi di Carlo di invadere il paese e di come la fedeltà incerta dei condottieri mercenari come Bussone (il quale prestò servizio sia ai Visconti di Milano che ai Veneziani) abbia contribuito alla decadenza di quest’ultima potenza.
Il principio fondamentale secondo il quale Machiavelli giudica gli eserciti mercenari e ausiliari è che essi sono inaffidabili, pericolosi e non hanno un legame affettivo con il principe o lo Stato, e quindi non sono disposti a sacrificare la loro vita per essi.
In contrasto con gli eserciti mercenari ed ausiliari, Machiavelli sostiene che un esercito proprio sia il fattore determinante per la stabilità di uno Stato.
Ad esempio, i Veneziani erano in grado di compiere imprese militari gloriose a causa della presenza di un esercito proprio. Tuttavia, anche i Veneziani commisero l’errore di affidarsi ad un condottiero mercenario, il che portò alla loro fine.
Machiavelli sostiene che non ci si può fidare dei capitani mercenari, sia che siano eccellenti o no. Il motivo è che essi cercheranno di perseguire il loro interesse personale e potrebbero sfidare la volontà del Principe.
Il Principe o la Repubblica che hanno il controllo delle proprie milizie, possono invece esercitare il loro potere sui propri comandanti e cittadini e quindi ottenere obbedienza più facilmente.
Storicamente, Principi e Repubbliche ben armate hanno fatto progressi, mentre i mercenari hanno causato solo danni. Roma, Sparta e la Svizzera contemporanea di Machiavelli sono esempi di Stati liberi e forti grazie ai loro eserciti interni.
In Italia, la situazione era diversa: con la divisione in molti stati e il potere che stava nelle mani della Chiesa e delle Repubbliche, il processo di mercenarizzazione delle milizie italiane, iniziato con Alberigo conte di Cuneo, si concluse con l’Italia invasa da stranieri come Carlo VIII, Luigi XII, Ferdinando il Cattolico e gli Svizzeri.

Papa Leone X ovvero Giovanni de’ Medici, 217° papa della Chiesa Cattolica. Secondogenito di Lorenzo de’ Medici, portò alla corte pontificia lo splendore e i fasti tipici della cultura delle corti rinascimentali.
Capitolo XIII: soldati ausiliari, misti e propri
Il testo sostiene che le milizie ausiliarie sono inutili e dannose per i Principi, poiché, sebbene possano essere sufficienti, nel lungo periodo finiscono per causare danni.
Un esempio è quando l’imperatore di Costantinopoli chiamò 10.000 turchi in Grecia per combattere i nemici ma, una volta sconfitti gli avversari, costoro non se ne andarono più, causando l’inizio del dominio turco in Grecia.
Le milizie ausiliarie sono anche più pericolose delle mercenarie poiché sono unite e ubbidienti a un solo capitano, mentre le mercenarie sono meno pericolose perché non sono un corpo unito e quindi richiedono maggiore occasione per sopraffare chi le ha assunte.
Il Principe dovrebbe affidarsi alle proprie milizie, perché la vittoria ottenuta con le truppe altrui non è considerata vera vittoria da Machiavelli.
Egli cita l’esempio di Cesare Borgia che, nonostante l’appoggio delle truppe francesi, non si sentì sicuro e decise di assoldare gli Orsini e i Vitelli, che poi gli si rivoltarono.
Altri esempi come Gerone I di Siracusa e Davide contro Golia supportano questa tesi.
Le armi miste, sebbene superiori alle mercenarie e alle ausiliarie, sono inferiori alle proprie e si rivelano essere dannose.
Carlo VII sapeva quanto fosse importante avere eserciti propri, ma Luigi XI iniziò a fare affidamento sui mercenari svizzeri, portando la Francia a una condizione tale per cui gli eserciti francesi non possono battere quelli svizzeri e non sono in grado di fare molto anche contro altri.
Se Luigi avesse continuato l’opera di fortificazione delle armate francesi iniziata dal padre Carlo, il regno di Francia sarebbe stato invincibile.
Questo testo sostiene inoltre che un principe veramente saggio è colui che sa riconoscere i mali quando nascono.
Questa saggezza è rara tra i regnanti e un esempio portato da Machiavelli è la ragione principale della rovina dell’Impero Romano, ovvero l’aver assoldato le truppe dei Goti che hanno indebolito l’esercito proprio.
Machiavelli conclude dicendo che uno Stato che non ha milizie proprie è insicuro, perché dipende dalla fortuna e non dalla virtù.
Capitolo XIV: ciò che conviene fare a un Principe circa la milizia
In questo capitolo viene affermato che la guerra è l’arte fondamentale per i regnanti per mantenere il potere e governare lo Stato. Quando i Princìpi si concentrano su cose futili piuttosto che sulle guerre, perdono il controllo e il loro territorio.
Il Principe deve quindi conoscere l’arte della guerra, esercitarsi sempre e mantenersi in forma sia mentalmente che attraverso azioni. La mancata conoscenza dell’arte della guerra è la ragione principale della perdita del potere.
La formazione e l’esercizio in questa pratica devono essere ancora più persistenti durante i periodi di pace che durante quelli di guerra. La relazione tra un uomo armato e uno disarmato è che l’uomo armato non obbedirà a quello disarmato.
Per quanto riguarda la formazione mentale, è consigliabile che il Principe legga storie antiche, mediti sulle azioni degli uomini eccellenti, esamini i motivi delle vittorie e delle sconfitte per poter imitare i successi ed evitare i fallimenti.
In questo modo, il Principe potrà essere sempre pronto alle avversità, anche in tempo di pace, e non sarà mai in preda all’ozio o ad impegni frivoli.
Per quanto riguarda la formazione fisica, il Principe deve tenere sempre la milizia in buona forma, esercitarla, simulare azioni di guerra, e partecipare a molte battute di caccia.
Questo gli farà abituare il corpo ai disagi della vita da campo e gli permetterà di comprendere la natura del territorio che lo circonda.
Ad esempio, conoscendo i boschi, le valli e le alture del proprio territorio, il principe potrà comprendere i boschi, le valli e le alture di altri territori, poiché esistono caratteristiche simili in ogni bosco, valle e altura.
Inoltre, un Principe che conosce i campi di battaglia conoscerà anche il suo nemico, poiché un Principe che non possiede questa conoscenza non può comprendere il suo avversario.
In sintesi, il capitolo XIV sostiene che il Principe deve avere la guerra come unico interesse e arte in cui esercitarsi, in quanto unico mezzo per mantenere il potere sul trono o per trasformare i cittadini in regnanti.
La conoscenza dell’arte della guerra è quindi la chiave per acquisire e mantenere il controllo sullo stato ed evitare la perdita del potere.
Capitolo XV: ciò per cui gli uomini e i Principi sono o lodati o biasimati
Il testo discute come il Principe debba trattare amici e sudditi. Molti hanno scritto sui doveri di questa figura nei confronti dei suoi sottoposti e il risultato è sempre stato una serie di situazioni utopiche dove tutto è pensato per il meglio.
Tuttavia, l’autore sostiene che seguire questi scenari può portare alla perdita di tutto per cui il Principe ha lavorato, poiché è impossibile fare sempre tutto al meglio. Pertanto, il Principe deve saper essere buono e cattivo a seconda delle situazioni.
Machiavelli sostiene anche che gli uomini e i principi sono etichettati con termini che li descrivono con biasimo o con lode nei momenti in cui ricoprono una carica di una certa importanza.
Egli sa che tutti pensano che sarebbe meglio se un Principe avesse solo le qualità buone, ma essendo umano e non potendo avere questa fortuna, è necessario che almeno sia abbondantemente prudente. Se possibile, il Principe dovrebbe fare di tutto per liberarsi della forma del vizioso.
Il regnante non dovrebbe preoccuparsi troppo se verrà giudicato negativamente a causa dei vizi necessari al mantenimento del dominio sullo stato. In molti casi, le virtù che dovrebbero facilitare la gestione del regno, in realtà, ne rendono più semplice la rovina.
Qui lo scrittore sostiene inoltre che questa è una circostanza più frequente di quanto si pensi.
Ad esempio, un principe che sia troppo misericordioso potrebbe perdere il controllo sui suoi sudditi e sulla sua corte, rendendo più difficile governare lo Stato.
Al contrario, un principe che sia troppo crudele potrebbe alienare i suoi sottoposti, rendendo più difficile ottenere il loro sostegno nei momenti di difficoltà.
Pertanto, è importante che il Principe sia in grado di equilibrare le sue virtù e i suoi vizi per governare con successo lo Stato.
Capitolo XVI: liberalità e la parsimonia del principe
Il capitolo in questione riguarda le opinioni di Machiavelli sul tema della generosità nei princìpi.
Inizialmente l’autore sostiene che un buon principe dovrebbe essere considerato generoso, ma avverte che troppa ostentazione o un utilizzo scorretto della generosità può avere effetti negativi.
Mantenere una reputazione di persona prodiga richiede molto denaro e, come risultato, il principe potrebbe finire per esaurire le proprie finanze e aumentare le tasse sulla popolazione, rendendosi così impopolare.
Al contrario, essere parsimoniosi, anche se potrebbe avere un impatto negativo sulla reputazione iniziale del Principe, alla lunga lo aiuterà a regnare e ad evitare di dover aumentare le tasse.
Machiavelli cita l’esempio di come solo i princìpi considerati “miseri” abbiano fatto grandi cose, mentre quelli che hanno speso troppo denaro sono andati incontro a una cattiva sorte.
Inoltre, l’autore distingue tra due categorie di princìpi: quelli compiuti e quelli in divenire, sostenendo che per i primi sperperare denaro è negativo, mentre per i secondi può essere positivo.
Come esempio di questa distinzione, Machiavelli cita Cesare, sostenendo che solo grazie al suo portafoglio divenne un capo di Stato. Tuttavia, afferma che questa è solo un’eccezione e che in generale essere parsimoniosi è un bene per un principe.
Questo testo comunica che un eccessivo spreco di denaro può portare alla povertà e al risentimento del popolo verso il Principe.
Machiavelli spiega che è meglio essere moderati nella spesa, anche se questo può avere un impatto negativo sulla reputazione, piuttosto che essere visti come rapaci e odiosi dalla popolazione.
La virtù sta nell’evitare l’odio del popolo, piuttosto che cercare di avere una buona immagine spendendo eccessivamente.

Francesco Bussone, detto Il Carmagnola, in un ritratto del 1646
Capitolo XVII: la crudeltà e la pietà, se è meglio essere amato o temuto
Il testo del diciottesimo capitolo tratta dell’importanza dell’immagine pubblica di un Principe e della differenza tra essere percepiti come misericordiosi o crudeli ed esserlo effettivamente.
Machiavelli sostiene che sarebbe bello che il Principe fosse caritatevole, ma anche capace di crudeltà se necessario, per adattarsi alle circostanze e garantire la ragion di stato.
La virtù richiesta è la duttilità, la quale richiede sia la capacità di analisi che gli strumenti per agire.
Machiavelli si riferisce alla sua esperienza con Cesare Borgia, giustificando il pensiero secondo cui l’uccisione degli oppositori è una decisione politica corretta per mantenere il potere e la pace.
Inoltre, sostiene che sarebbe stato più crudele lasciare che i cittadini se la sbrigassero da soli.
Il testo afferma che per mantenere l’unità tra i sudditi, potrebbe essere necessario apparire come crudele, ma questo non deve spaventare il regnante.
Il Principe deve trovare un equilibrio tra essere amato e temuto, essendo crudele solo con coloro che potrebbero essere dannosi per il suo potere. Se non riesce a equilibrare queste due cose, è meglio essere temuti.
Un Principe che basa il suo potere solo sull’amore del popolo in tempo di pace rischia di cadere in rovina quando le cose si complicano.
Gli uomini hanno meno rispetto e sono più propensi a colpire una persona che amano rispetto a una persona che temono, poiché l’amore è legato da un vincolo umano che può essere spezzato, mentre il timore non abbandona mai.
Un Principe dovrebbe farsi temere evitando l’odio, evitando di interferire con i beni e le donne dei sudditi e condannando a morte solo in caso di necessità. È importante che il Principe protegga i beni dei sudditi perché sono più ricordati rispetto alla morte.
La reputazione di crudeltà del Principe è importante quando ha un esercito, poiché aiuta a mantenere l’unità e l’obbedienza degli soldati.
L’esempio di Annibale è dato come di successo grazie alla sua fama di crudeltà nel mantenere unito il suo esercito composto da diverse genti.
La conclusione di Machiavelli è semplice: il Principe non deve basare il suo potere su qualcosa che dipende dagli altri, perché questo potrebbe essere revocato in qualsiasi momento (come l’amore del popolo).
Invece, il signore dovrebbe basare il suo potere su qualcosa di cui ha il controllo totale, ma allo stesso tempo fare attenzione a non essere odiato.
Capitolo XVIII: in che modo i Principi devono mantenere la parola data
In questa parte del libro si spiega che esistono due modi per governare: rispettando la legge e vivendo con integrità, oppure utilizzando l’astuzia e la forza.
Mentre essere onesti e mantenere la parola data è considerato virtuoso, molti Principi che hanno usato l’astuzia per ottenere il potere hanno avuto successo e sono stati in grado di superare quelli che hanno seguito la prima via.
Tuttavia, a volte la legge non basta e occorre ricorrere alla forza. Per questo, un Principe deve saper utilizzare entrambi gli aspetti, quello bestiale e quello umano, in base alla situazione.
Gli antichi scrittori hanno suggerito nei loro discorsi che un Principe dovrebbe avere come precettore un essere che sia a metà bestia e a metà uomo, come il centauro Chirone, perché entrambe le sue nature e i suoi caratteri sono necessari per sopravvivere come principe.
Il testo inoltre descrive l’importanza per un Principe di avere le qualità della volpe e del leone. Questo perché in un mondo in cui gli uomini sono malvagi e non mantengono la loro parola, anche un Principe intelligente non può essere tenuto a mantenere la sua parola in ogni circostanza.
Ci sono sempre motivi legittimi per giustificare l’inosservanza della parola data da parte di un Principe.
Qui l’autore cita anche l’esempio di Papa Alessandro VI, il quale è stato molto abile nell’ingannare gli altri con il suo comportamento cinico e ipocrita, riuscendo sempre a ottenere successo perché conosceva bene la natura umana.
In aggiunta il testo sottolinea che un Principe deve saper usare sia la parte animale che quella umana, perché in un mondo in cui la forza spesso è necessaria per proteggersi, un sovrano deve essere in grado di usare entrambe le parti della sua natura.
Per un Principe astuto è più probabile ottenere successo. Tuttavia, egli deve essere in grado di nascondere questa natura e adattarsi alle situazioni, essendo cinico o dissimulatore quando necessario.
Gli uomini sono così ingenui che chi inganna troverà sempre qualcuno che cade nella trappola. Non è necessario che un Principe possieda tutte le qualità descritte, ma può far sembrare di averle e proteggersi da eventuali danni.
In situazioni in cui queste qualità sono controproducenti, un buon Principe deve essere in grado di ribaltare la situazione a proprio vantaggio.
Un Signore, specialmente se appena salito al potere, non può permettere che le qualità che generalmente vengono considerate virtuose, come la parola data, la carità, l’umanità o la religione, influiscano sulla sua guida dello Stato.
A volte, per preservare il potere, potrebbe essere necessario agire contro queste virtù e il Principe deve essere flessibile e pronto a cambiare in base alle circostanze e ai cambiamenti degli eventi pur, se possibile, non allontanandosi dalla retta via.
Se costretto dalle circostanze, deve essere in grado di abbracciare il male. È importante che il suo linguaggio sia coerente con le esigenze del momento e che si avvicini il più possibile agli ideali di pietà, fede, integrità, umanità e religione.
Tieni presente che gli uomini tendono a giudicare più l’apparenza che la sostanza. Infatti, tutti possono vedere l’aspetto esterno, ma solo pochi sono in grado di percepire la vera essenza delle cose.
Anche quei pochi potrebbero non osare contraddire la maggioranza che gode della protezione dello Stato. Pertanto, è importante che il Principe abbia cura del suo linguaggio e delle sue azioni in modo da dare l’impressione di essere virtuoso e rispettabile agli occhi degli altri.
Il giudizio sulle azioni di un uomo, in particolare di un Principe, non può essere basato su standard morali convenzionali, poiché l’obiettivo principale di questa figura è la conquista e il mantenimento del suo stato.
Per questo motivo, i mezzi che un Principe utilizza per raggiungere questo scopo saranno sempre giudicati onorevoli dal popolo, il quale tende ad essere influenzato dall’apparenza piuttosto che dalla realtà.
La maggioranza delle persone nel mondo sono il popolo e, se vengono mostrati loro abbastanza risultati e successi dal Principe, le minoranze ribelli non avranno seguito.
Un monarca moderno, come Ferdinando il Cattolico, dovrebbe evitare di predicare pace e lealtà, poiché questi ideali potrebbero danneggiare il suo Stato e la sua reputazione se seguiti alla lettera.
Capitolo XIX: come i principi devono evitare il disprezzo e l’odio
Il Principe deve fare attenzione a evitare azioni che possano renderlo inviso al popolo, poiché questo lo metterebbe a rischio; tra queste, quelle più odiate sono l’appropriazione delle donne e dei beni dei sudditi,
Evitando di prendere ciò che appartiene agli altri, il popolo vivrà contento e il Principe dovrà solo affrontare l’ambizione di pochi ribelli.
Se un Principe diventa rapace e usurpatore, verrà giudicato debole e irresoluto, ma se si dimostra forte e solenne, sarà ritenuto grande e difficilmente attaccabile. Colui che dimostra di avere un sostegno diffuso sarà considerato potente e rispettato.
Il testo qui afferma che un Principe deve avere due paure, una interna e una esterna. La paura esterna riguarda le azioni degli Stati vicini, e per proteggersi, il Principe deve avere buoni eserciti e buoni alleati.
La reputazione di eserciti forti può anche garantire la pace interna, ma il Principe deve essere attento a non essere odiato o disprezzato dal suo popolo. Per evitare questo, deve fare in modo che la comunità sia soddisfatta di lui e che non congiuri segretamente contro la sua persona.
Il successo di un Principe contro le congiure dipende dall’evitare di essere odiato dalle masse, poiché chi congiura spera di guadagnarsi il loro supporto con la morte del sovrano.
Tuttavia, i congiurati raramente prendono azione in un contesto in cui il Principe non è odiato, poiché le difficoltà sono infinite.
Il complotto fallisce spesso perché i congiurati sono soli o hanno solo compagni fra i malcontenti, ma la denuncia da parte di un altro può portare a una rottura e la trasformazione di un alleato in un nemico.
Il Principe ha invece la maestà del principato, le leggi, le difese degli amici e dello Stato, e se ha anche il favore del popolo, diventa praticamente impossibile che qualcuno tenti una congiura.
Il Principe deve essere cauto riguardo a chi trama contro di lui, soprattutto quando il popolo è ostile nei suoi confronti. I Principi saggi sanno che non devono esasperare i potenti ma allo stesso tempo devono mantenere il popolo contento, uno dei compiti più importanti per chi regna.
La Francia è un esempio di come questo possa essere fatto attraverso il parlamento, il quale ha il compito di limitare i potenti e favorire i minori, senza coinvolgere il re in alcun risentimento.
Questo sistema è il più prudente e sicuro per il sovrano e per il regno. Un altro consiglio che si può trarre da questo è che i Principi dovrebbero delegare decisioni impopolari ad altri, riservando a se stessi quelle gradite.
In sintesi, un Principe dovrebbe tenere in considerazione i potenti, ma non farsi odiare dal popolo.
Infine, il testo di questo capitolo esamina come l’odio possa essere attirato sia da azioni buone che cattive e come un Principe, per mantenere il potere, sia spesso costretto a non essere buono.
Viene presa in esame la ragione della rovina degli imperatori romani, dal momento che dovevano affrontare l’odio e il disprezzo causato dalla crudeltà e dalla avidità dei soldati, oltre all’ambizione dei potenti e l’insolenza dei popoli.
Gli imperatori che non avevano una buona reputazione per tenere a freno soldati e popolo sono andati incontro alla rovina. La maggior parte preferì soddisfare i soldati, ignorando l’odio della popolazione.
Tuttavia, i principi devono sforzarsi di evitare l’odio di tutti i gruppi sociali e, se non possono, almeno quello dei più potenti.
All’epoca dell’Impero Romano era più importante soddisfare i soldati piuttosto che i popoli, poiché i soldati avevano più potere. Al contrario, nella situazione attuale, i Principi devono soddisfare i popoli più che i soldati, poiché i primi detengono più potere rispetto agli eserciti.
Questo vale per tutti, tranne che per il sultano d’Egitto e il sultano turco.
Capitolo XX: se le fortezze e simili sono utili ai Principi oppure no
Il testo di Machiavelli esplora le strategie che i Principi devono implementare per mantenere il potere e il controllo sullo Stato.
Egli sostiene che disarmare i propri sudditi sia un errore poiché potrebbe causare inimicizie. Invece, egli consiglia di acquisire una milizia mercenaria e di arruolare solo i propri sudditi per mantenere il controllo.
Quando un Principe acquisisce un nuovo Stato, egli deve essere astuto nel disarmare tutti i sudditi, tranne coloro che lo hanno aiutato a conquistarlo, e arruolarli come membri della milizia.
I Principi sono sottoposti a prove e sfide come nemici e difficoltà, ma un sovrano sagace e astuto può superare questi ostacoli e aumentare la propria grandezza.
Machiavelli sottolinea l’importanza di considerare i motivi che hanno portato gli alleati a sostenere il Principe e di trattare i propri sudditi in modo equo per ottenere la loro fedeltà.
Inoltre, egli esorta i sovrani a considerare questi fattori per mantenere il loro potere e il controllo sullo Stato.

Raffigurazione della statua Equestre di Marco Aurelio
Capitolo XXI: che cosa deve fare un principe per essere stimato
In questo capitolo, Machiavelli sostiene che le grandi imprese sono un fattore importante per guadagnare la stima del popolo. Viene presentato il re Ferdinando di Aragona come un esempio di questa affermazione: da un regnante debole, diventò il primo re dei cristiani per fama e gloria.
Con la conquista del regno di Granada, Ferdinando acquisì terre e reputazione, foraggiò il suo esercito, addestrò la milizia e compì altre imprese di successo.
Mantenendo i sudditi concentrati sulle sue grandi imprese, Ferdinando fu in grado di prevenire eventuali congiure contro di lui e di consolidare il suo potere.
Il testo inoltre afferma che per un Principe è importante dare esempi di punizione o premio ai sudditi, ma l’azione più importante è comunque riconfermare la propria grandezza in ogni azione.
È meglio per il Principe schierarsi apertamente da una parte piuttosto che essere neutrale, poiché questo eviterà futuri pericoli e guadagnerà la stima degli altri.
Essere neutrale in un conflitto tra due potenze vicine potrebbe essere pericoloso e il vincitore potrebbe non avere alcuna fiducia in chi non si è schierato durante la guerra.
L’esempio di Antioco inviato dagli Etoli per cacciare i Romani e invitare gli Achei a restare neutrali è menzionato, ma il legato romano risponde che questo sarebbe contro i loro interessi e che invece sarebbe un premio per il vincitore.
Andando avanti, si parla del comportamento ideale per un Principe, il quale non dovrebbe mai cercare la neutralità, poiché questo gli farebbe più danni che favori.
Invece, dovrebbe prendere le parti di una fazione, perché questo gli permetterà di creare alleanze se la fazione vince e di essere accettato se perde.
Ad ogni modo, il sovrano deve essere cauto nell’allearsi con una fazione più potente, poiché questo potrebbe renderlo vincolato a chi vince.
Il Principe deve sempre essere prudente e valutare tutte le opzioni, poiché ogni volta che cerca di evitare un problema, ne incontra sempre un altro. La prudenza consiste nella capacità di valutare i rischi e scegliere il male minore.
In ultima analisi, egli dovrebbe mostrarsi amante delle virtù e onorare coloro che sono eccellenti in un’arte. In aggiunta, dovrebbe garantire ai propri cittadini la tranquillità per esercitare le loro attività professionali e incentivare chi vuole accrescere il prestigio della propria città o del proprio Stato.
Il principe dovrebbe anche tenere la popolazione occupata con feste e spettacoli e prendervi parte a volte per dare un’immagine umana e magnanima. Tutte queste azioni devono essere fatte mantenendo la maestà e la dignità del principe.
Capitolo XXII: i segretari che i principi hanno al loro fianco
Il Principe deve scegliere con cura i suoi ministri, poiché la loro qualità determinerà la sua abilità di governare. Le personalità di queste figure possono essere di tre tipi: capaci di pensare autonomamente, capaci di valutare gli altri, e incapaci di capire da soli o con l’aiuto degli altri.
Il sovrano deve essere in grado di valutare il loro operato e di correggere le azioni negative, premiando invece le positive. Per conoscere le qualità dei ministri, il Principe deve osservare se essi pensano più a sé che a lui e se cercano un profitto personale.
Costui deve ricompensare i ministri per mantenerli fedeli e impedire che cerchino profitto da altri. Se il Principe e i ministri hanno fiducia l’uno nell’altro, allora la relazione sarà benefica per entrambi, altrimenti può essere dannosa.
Infine, il Principe deve evitare di essere troppo generoso con i suoi aiutanti, per evitare che essi diventino troppo ambiziosi e cerchino di governare al posto suo.
Capitolo XXIII: come evitare gli adulatori
Il capitolo XXIII° tratta della questione degli adulatori nei confronti dei Principi.
Gli costoro sono considerati un problema poiché gli uomini spesso apprezzano i complimenti per i loro meriti reali o immaginari e hanno difficoltà a difendersi da queste forme di adulazione.
Se un Principe cerca di difendersi dalle adulazioni, corre il rischio di perdere il rispetto degli altri. Il modo per evitare questi incensatori è quello di scegliere persone sagge che possano parlare liberamente e dire la verità, ma solo sui temi richiesti dal Principe.
Costui infatti deve essere generoso nell’ascoltare queste opinioni, ma alla fine deve prendere una decisione da solo.
Inoltre, un sovrano deve evitare di dipendere troppo dai consigli degli altri, poiché i pareri che riceve non saranno univoci e coerenti.
Alla fine, la prudenza di un Principe non dovrebbe dipendere solo dalle riflessioni altrui, ma deve essere filtrata dalla sua saggezza naturale.
Capitolo XXIV: perché i Principi italiani persero i loro Stati
Un sovrano che dimostra virtù nelle sue azioni attrae e sottomette gli uomini più di un Principe ereditario. I sudditi prestano più attenzione alle azioni presenti che a quelle passate.
Un Principe che guida con saggezza e virtù viene difeso e la sua gloria raddoppia, mentre la vergogna raddoppia per chi nasce Principe e perde lo Stato per mancanza di intelligenza.
Tutti coloro che hanno perso lo Stato in Italia avevano un difetto comune nell’organizzazione militare e avevano inimicato i propri popoli o non avevano ottenuto il sostegno dei potenti.
Se i Principi perdono uno Stato, non devono accusare la sfortuna ma la propria ignoranza. Nei tempi di pace, non hanno pensato ai cambiamenti futuri e, quando sono arrivati tempi difficili, hanno pensato più a fuggire che a difendersi.
Non ci si deve mai abbandonare al lusso e sperare di essere salvati, poiché la salvezza dipende dagli altri e non lascia molte garanzie.

Calcografia in Iconografia italiana degli uomini e delle donne celebri: Ludovico il Moro, di Antonio Locatelli, 1837. Durante il governo di Ludovico il Moro Milano conobbe il pieno Rinascimento e la sua corte divenne una delle più splendide d’Europa. Patrono di Leonardo da Vinci e di altri artisti di rilievo della sua epoca, commissionò a Leonardo l’Ultima Cena.
Capitolo XXV: quanto può la fortuna nelle azioni umane e in che modo debba essere affrontata
Il testo del capitolo XXV° affronta la questione dell’influenza della fortuna sulla vita umana e sulla capacità di influire sulla realtà.
Alcune persone ritengono che le cose del mondo siano governate dalla sorte o da Dio e che quindi gli uomini non abbiano alcun potere sugli eventi.
Tuttavia, questa opinione viene contrastata dall’idea che il destino governi solo metà delle nostre azioni, lasciando all’uomo il controllo dell’altra metà. Avere il caso dalla propria parte può essere paragonato a un fiume in piena che ha più potenza dove non ci sono argini o ripari.
Gli uomini possono resistere alla fortuna costruendo delle barriere. In questo modo, il potere della sorte può essere limitato.
Un principe che si affida completamente alla incertezza del caso è destinato a cadere in rovina, mentre quello che adatta il suo modo di procedere alle caratteristiche dei tempi ottiene buoni risultati.
Gli uomini nelle loro azioni verso la gloria e la ricchezza agiscono in modi diversi e ognuno può raggiungere questi obiettivi con una diversa modalità.
Capitolo XXVI: esortazione a liberare l'Italia dalle mani dei barbari
Nell’ultimo capitolo della sua opera più famosa, Machiavelli si chiede se sia il momento giusto per un nuovo Principe italiano che porti gloria e benefici, descrivendo il momento attuale dell’Italia come una situazione critica, senza un capo, con eserciti stranieri e distruzione.
Spera che questo principe sia inviato da Dio, aggiungendo che il paese intero prega Dio di inviargli un liberatore che lo salvi dalle violenze straniere; più avanti, viene detto che la popolazione è pronta a seguire una bandiera sollevata da un capo.
Lo scrittore vede solo una famiglia in grado di guidare la liberazione: i Medici, con la fortuna a loro favore e con un Papa, Leone X, nella loro famiglia.
Lorenzino de’ Medici potrebbe essere questo Principe che libera l’Italia, seguendo l’esempio dei liberatori famosi del passato.
L’autore descrive la guerra come giusta e sacra, se necessaria e dice che non c’è speranza senza le armi.
Secondo Machiavelli, il popolo italiano è pronto ad armarsi contro gli stranieri e, citando Tito Livio, sostiene che la guerra è giusta se necessaria e le armi sono sante se non c’è altra speranza.
I Medici dovrebbero svolgere il loro compito con l’animo e la speranza che si mettono in iniziative giuste, per nobilitare la patria sotto la loro bandiera e per realizzare il detto di Petrarca:
“La virtù degli italiani contro il furore dei barbari prenderà le armi, e il combattimento sarà breve, perché l’antico valore dei romani nel cuore degli italiani non è ancora morto”.
Dove trovare tutte queste informazioni: la nostra versione preferita in italiano de Il Principe di Niccolò Machiavelli
Se sei arrivato fino alla fine di questo articolo mi piacerebbe farti i miei complimenti: significa che sei venuto a conoscenza di ogni particolare nascosto dietro alle pagine di questa opera letteraria.
Immagino che anche tu, come me, ti sia chiesto a un certo punto: “Dove avranno trovato tutte queste informazioni“?
Ebbene, devi sapere che ogni singolo approfondimento contenuto nei testi che hai avuto modo di leggere è stato ricavato dalla nostra versione preferita di questo scritto di Machivelli, ovvero quella prodotta da Ibex Edizioni.
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