Étienne De La Boétie

Étienne De La Boétie

Étienne de La Boétie: il giovane filosofo che svelò il mistero dell’obbedienza al potere

Étienne de La Boétie (Sarlat, 1º novembre 1530 – Germignan, 18 agosto 1563) è una figura atipica e straordinaria nella storia del pensiero politico occidentale. Giurista, umanista, poeta e filosofo, La Boétie è ricordato soprattutto per un’opera giovanile — e geniale — che lo ha reso immortale: il “Discorso sulla servitù volontaria” (Discours de la servitude volontaire). Scritta quando aveva appena diciotto anni, quest’opera ha attraversato i secoli come un manifesto silenzioso contro ogni forma di dominio autoritario, e continua a parlare con forza sorprendente al nostro presente.

Un giovane umanista nel cuore del Rinascimento

La Boétie nacque in una famiglia borghese e colta a Sarlat, nel Périgord, in un’epoca di fermento culturale e instabilità politica. L’Europa era attraversata dalle tensioni della Riforma protestante, dalla lotta tra monarchie assolute e autonomie locali, e da un acceso dibattito sul ruolo della legge, della libertà e della religione.

Fin da giovane, Étienne ricevette un’educazione umanistica rigorosa, basata sulla lettura dei classici greci e latini, della Bibbia e dei testi giuridici romani. Frequentò l’Università di Orléans, uno dei centri più prestigiosi per lo studio del diritto, e lì sviluppò una precoce consapevolezza politica e filosofica. All’età di soli 22 anni fu nominato magistrato al Parlamento di Bordeaux: un riconoscimento eccezionale per un giovane, che attestava la sua intelligenza brillante e la maturità del suo pensiero.

Il “Discorso sulla servitù volontaria”: un’opera rivoluzionaria

Scritto attorno al 1548, il Discorso sulla servitù volontaria è un testo breve, ma esplosivo. A differenza di molti trattati politici dell’epoca, non parte dall’analisi del diritto naturale, né da questioni religiose o legittimazioni dinastiche. Parte invece da una domanda semplice e radicale:

“Come mai tanti uomini, tante città, tante nazioni tollerano un solo tiranno, che ha un potere che essi stessi gli concedono?”

La risposta di La Boétie è disarmante nella sua lucidità: la tirannia si regge sull’abitudine e sull’assenso. Non è la forza a tenere in piedi il potere oppressivo, ma l’obbedienza passiva di chi si lascia dominare. Le persone, sostiene, si abituano fin da giovani alla sottomissione; si legano emotivamente al potere, lo imitano, lo interiorizzano — fino a non vederne più la violenza.

Nel testo, La Boétie non incita alla violenza né alla ribellione armata. Propone invece un gesto silenzioso, ma potentissimo: smettere di obbedire. “Siate risoluti nel non servire più, ed eccoli liberi”, scrive. È un invito alla disobbedienza civile, alla responsabilità individuale, al risveglio della coscienza. Un gesto apparentemente semplice, ma sufficiente — a suo dire — per far crollare qualsiasi forma di dominio.

Un’eredità nascosta, ma potente

Il Discorso non fu pubblicato ufficialmente in vita da La Boétie. È probabile che l’autore, giovane magistrato in ascesa, temesse ripercussioni in un’epoca in cui la censura era feroce e la monarchia francese sempre più autoritaria. Il testo circolò per decenni in forma manoscritta, letto e commentato da piccoli circoli di intellettuali dissidenti, fino a quando non fu diffuso in forma stampata nella seconda metà del XVI secolo, spesso in modo anonimo o attribuito erroneamente ad altri autori.

Durante le guerre di religione in Francia, fu letto sia dai monarchici sia dagli ugonotti, e la sua ambiguità politica ne fece un’arma a doppio taglio. Solo nei secoli successivi, grazie a pensatori come Montaigne, Rousseau, Thoreau, Tolstoj, Gandhi e Hannah Arendt, l’opera fu riconosciuta come un capolavoro precoce della filosofia politica moderna, e un precursore della teoria della disobbedienza civile.

L’amicizia con Montaigne: un legame indissolubile

Un aspetto centrale della vita di La Boétie è la sua profonda amicizia con Michel de Montaigne, il grande filosofo e autore dei Saggi. I due si conobbero nel 1558 a Bordeaux e instaurarono un rapporto così intenso che Montaigne scrisse:

“Se mi avessero chiesto perché lo amavo, sento che non avrei potuto rispondere se non: perché era lui, perché ero io.”

Dopo la morte improvvisa di La Boétie nel 1563, a soli 32 anni, Montaigne fu profondamente scosso. Ne custodì i manoscritti, ne promosse il pensiero e gli dedicò alcune delle pagine più commoventi della letteratura francese. Grazie a Montaigne, l’opera di La Boétie non andò perduta e arrivò fino a noi.

Un pensatore senza tempo

Nonostante la sua breve vita, La Boétie è considerato uno dei padri fondatori del pensiero libertario e della filosofia politica moderna. Il suo contributo è tanto più straordinario se si pensa alla giovane età in cui lo formulò. Il suo stile è limpido, incisivo, lontano dalle astrazioni accademiche: parla direttamente al cuore e alla mente del lettore.

In un’epoca in cui le forme di potere si moltiplicano sotto sembianze sempre più sofisticate — algoritmi, autorità invisibili, manipolazione sociale — il messaggio di La Boétie resta di una modernità sorprendente: il potere si nutre della nostra complicità, e il primo atto rivoluzionario è smettere di sostenerlo.


Frase celebre

“Il tiranno non è mai più potente di quando gli uomini cessano di pensare da sé.” – Étienne de La Boétie