Victor Serge

Victor Serge (1890–1947)
Intellettuale scomodo, militante rivoluzionario, narratore dell’utopia tradita: Victor Serge – pseudonimo di Viktor L’vovič Kibal’čič – è una delle voci più limpide e tragiche del Novecento. Nato a Bruxelles nel 1890 da una famiglia russa esiliata per attività rivoluzionarie, cresce in un ambiente intriso di ideali libertari e antiautoritari. Fin dalla giovinezza si avvicina all’anarchismo, militando in ambienti radicali tra Francia, Belgio e Spagna, e collaborando con riviste libertarie come L'Anarchie.
Nel 1912 viene arrestato e condannato a cinque anni di carcere per il suo presunto coinvolgimento con la banda Bonnot, un gruppo anarchico dedito all’illegalismo. In prigione matura una visione più critica del terrorismo anarchico e sviluppa una coscienza politica più strutturata, sempre in bilico tra idealismo e realismo.
Con l’esplodere della Rivoluzione Russa, Serge si trasferisce in Russia nel 1919, pieno di speranza. Si unisce al Partito Comunista Bolscevico, lavora per il Comintern, partecipa alla difesa della rivoluzione durante la guerra civile e osserva da vicino i meccanismi del potere rivoluzionario. Ma è proprio nel cuore della rivoluzione che inizia a intravedere le prime crepe: la nascita della burocrazia, la repressione del dissenso, l’allontanamento dagli ideali originari.
Negli anni ’20 si avvicina all’Opposizione di Sinistra guidata da Trotsky e denuncia la crescente autorità del gruppo dirigente stalinista. Questa posizione gli costa cara: nel 1928 viene espulso dal partito, nel 1933 arrestato e infine confinato in Kazakistan. La sua salvezza arriverà grazie a una vasta campagna internazionale di solidarietà condotta da scrittori come André Gide, André Malraux e Romain Rolland, che porterà all’espulsione forzata dall’Unione Sovietica nel 1936.
Rifugiato prima in Belgio, poi in Francia, Serge continua la sua opera di denuncia dello stalinismo e dell’imperialismo, ma anche del cinismo delle democrazie occidentali. Durante l’occupazione nazista della Francia, riesce a fuggire in Messico, dove passerà gli ultimi anni della sua vita in povertà, scrivendo senza sosta, isolato e sorvegliato dalla polizia politica stalinista.
Il suo pensiero, complesso e mai dogmatico, riflette una tensione costante tra fede rivoluzionaria e disincanto storico. Serge non rinnegò mai il socialismo, ma ne denunciò instancabilmente le degenerazioni autoritarie. In un secolo di ideologie assassine, mantenne viva una voce umanista, etica, capace di raccontare l’intimità del dissenso e la resistenza morale contro il potere assoluto.
Scrittore in esilio, cronista della tragedia rivoluzionaria, Victor Serge ha lasciato un’opera ricchissima: romanzi, saggi, memorie, articoli e diari, tradotti in decine di lingue e oggi riscoperti come testimonianza essenziale per comprendere il XX secolo. Tra i suoi titoli principali:
-
Memorie di un rivoluzionario (1901–1941) – autobiografia intensa e dolorosa, opera fondamentale per chi vuole capire la rivoluzione dal punto di vista di un testimone lucido;
-
L’anno I della Rivoluzione russa – un resoconto appassionato ma critico dei primi passi dell’esperimento sovietico;
-
Il caso Tulajev – romanzo corale che racconta con acume letterario la macchina del terrore stalinista;
-
I reietti – cronaca dei militanti rivoluzionari europei, sospesi tra ideali e persecuzioni.
Victor Serge morì a Città del Messico nel 1947, in solitudine e precarietà, lasciando dietro di sé un’eredità politica e letteraria che parla ancora oggi a chi si interroga sul rapporto tra giustizia e libertà, rivoluzione e coscienza, ideologia e verità.